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sabato 30 giugno 2018
Conversazione al fronte: Veneziani, dicci, ma davvero siamo al tramonto di tutto?
Siamo arrivati al cuore del nostro Speciale sulla (presunta) fine dell’Occidente
Sì, perché la domanda drammatica sul tramonto della nostra civiltà è, alla fine, “colpa” di un filosofo (e scrittore e opinionista e molto altro) speciale, uno dei più pepati che conosciamo in circolazione, Marcello Veneziani, e del suo ultimo libro Tramonti.
È proprio vero che stiamo vivendo un tempo che non è paragonabile a nessun momento della storia umana? Veramente siamo al tramonto di ogni ideale a noi conosciuto: l’Occidente, la politica e addirittura la millenaria civiltà cristiana?
Non ci piacciono gli apocalittici, i complottisti e in genere tutti i facili profeti di sventura, ma quella di Veneziani, purtroppo, più che un vaticinio pare essere un’analisi del presente, e per di più lucida. Quindi, andiamo alla fonte delle nostre inquietudini e chiediamo direttamente a lui se il sole è veramente così basso sull’orizzonte, con un’attenzione speciale a quella misteriosa compagnia di uomini, la Chiesa, che da duemila anni è voce infaticabile di una speranza viva che non conosce tramonto.
Alla fine, Veneziani, se dovessimo andare all’origine dei problemi, possiamo dire che il male incurabile dell’Occidente è quest’alleanza tra nichilismo e relativismo, cioè tra il “niente è importante” e il “va bene tutto”?
Non è un’alleanza, è una conseguenza. Il relativismo presuppone il nichilismo e produce nichilismo, e viceversa. Vi possono essere forme incoerenti e incompiute di relativismo che non esplicitano la destinazione ultima, il nichilismo. E forme distorte e incoerenti di nichilismo che partono dal relativismo e arrivano al suprematismo, cioè a forme di egemonia o dispotismo. Oggi a me pare invece che i due opposti negativi siano il nichilismo e il fanatismo, cioè l’assenza di scopo, significato e valore da una parte e la pretesa di ingabbiare il mondo, l’umanità, dentro il monopolio della propria Assoluta Verità.
Perché sostiene che il politicamente corretto è pericoloso? Al contrario, quanto è importante l’identità di un popolo?
Il politicamente corretto è la negazione della realtà, della storia e della natura nel nome di un codice ideologico che decreta la falsificazione dei fatti, del comune sentire e perfino del linguaggio.
L’identità di un popolo è invece legata al senso comune, all'esperienza reale della vita, ai suoi limiti e alle sue imperfezioni. La sua cultura passa inevitabilmente per la tradizione sedimentata nel tempo e tra le generazioni, quel patrimonio di pratiche, riti, simboli, religioni, costumi e linguaggi che ne costituiscono poi la sua provenienza.
Nell’era della post-verità e della globalizzazione cosa deve fare l’uomo per non sentirsi solo e senza un destino?
Deve connettersi, ma in questo caso non a una rete, a un social, a un’emittente; ma connettersi alle persone reali che vivono accanto a lui, alla famiglia, alla città, alla propria patria, a coloro che condividono idee e sensibilità; e connettersi a coloro che furono e a coloro che saranno, cioè collegarsi a una tradizione, e dunque a un passato e a un avvenire, liberandosi dalla dittatura del presente.
In Alla luce del Mito lei si concentra sulla questione “verità”. Eppure, oggi questa parola è diventata un tabù, un ostacolo che impedirebbe la vera democrazia, la vera tolleranza, addirittura la misericordia della vera fede…
Non c’è pensiero e non c’è umanità se non c’è passione di verità e ricerca del vero. Ma la verità diventa pericolosa quando qualcuno pretende di detenerne il monopolio e di parlare nel nome della verità. Come per i fanatici e i nichilisti i pericoli vengono da due versanti opposti: da chi nega la verità e da chi ne impone un surrogato di cui si ritiene depositario.
Dove va la Chiesa del terzo millennio? È possibile una sintesi tra la Verità di Benedetto e la Carità verso la Modernità di Francesco o sono due vie inconciliabili?
È possibile benché arduo, ma il problema principale è l’indifferenza dei contemporanei al messaggio cristiano. In fondo, Benedetto, nel solco di Giovanni Paolo II, cercò di risvegliare la Verità nell’Occidente ma fu sconfitto dall’ateismo pratico; Francesco gode di una vasta popolarità mediatica e di una simpatia tra i non credenti ma non è riuscito a ridestare il messaggio cristiano. E non si può pensare di colmare il vuoto di Dio col pieno di migranti; l’accoglienza rischia di ridurre la chiesa a una specie di Ong…
Vede una futura divisione dentro la Chiesa o addirittura uno scisma?
La divisione è nei fatti, lo scisma è possibile. Ma bisognerebbe prima tentare l’impresa di ritrovare il motivo di fondo della missione evangelica, lasciando poi a ciascuno la possibilità di interpretare in modo diverso le sensibilità sociali e culturali.
Secondo lei, in quale momento storico sono iniziate le difficoltà che oggi vediamo della Chiesa?
Non si può ritrovare una data perché ogni volta che si scorge il punto di frattura, si risale ancora indietro fino a Lutero e prima ancora alle sette ereticali… Nella storia più recente, invece il punto di crisi coincide con il Concilio Vaticano II. E con la triste considerazione che il cattolicesimo progressista si è sentito più vicino ai progressisti non cattolici che ai cattolici non progressisti. Col risultato che si sono aperte ferite incolmabili.
Nel suo libro Tramonti scrive che la decadenza dell’Occidente consiste nella perdita del passato, del futuro e del soprannaturale. Ritiene possibile un Occidente senza Chiesa o dall’altra parte una Chiesa senza Occidente?
La Rivelazione è un cammino ulteriore per i credenti. Alla luce della fede il soprannaturale è l’itinerario della mente in Dio, per dirla con san Bonaventura. La scoperta di Dio. E dunque il futuro è solo un acconto d’immortalità, una promessa di vita eterna. Ma non a tutti è dato incontrare la fede. Mi è difficile immaginare un Occidente senza Chiesa e viceversa, ma tutto può accadere…