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sabato 23 dicembre 2017
venerdì 22 dicembre 2017
Lettera dal fronte: Racconto di Natale (parte prima)
L’uomo
sentì bussare alla porta. Quattro colpi battuti con forza erano il
segnale prestabilito. Corse ad aprire e fece entrare rapidamente i
quattro personaggi infagottati che attendevano fuori.
Richiuse in fretta la porta e si diresse a grandi passi verso i nuovi entrati che, una volta tolti i cappotti, rivelarono essere una donna adulta e tre bambini.
Avete prestato attenzione lungo la strada? Vi siete incontrati nel punto prefissato? Siete sicuri che nessuno vi abbia seguito?
La donna rispose: Stai tranquillo, lo abbiamo fatto tante volte da conoscere a memoria ogni angolo e sappiamo quanto sia importante per la nostra sicurezza.
L’uomo la guardò con intensità senza dire nulla poi con slancio la abbracciò e la baciò e si rivolse quindi ai bambini: Eccoli i miei ragazzi! Allora come è andata la giornata? Come è andata la scuola?
Prese in braccio il più piccolo dei tre e lo lanciò in aria facendolo ridere fragorosamente. Gli altri due si avvicinarono abbracciando le gambe del padre senza dire nulla, ma quel gesto valeva più di mille parole. Appena lo ebbe messo giù il piccolino esclamò: Mamma, papà! Stamattina nel cortile della scuola abbiamo raccolto un po’ di erba secca... possiamo usarla per la paglia della stalla? Ne metto un po’ nella mangiatoia!
Allora anche i fratelli tirarono fuori dalle tasche dei loro cappotti un bel po’ di ciuffi d’erba giallognola sicuramente strappati dagli angoli dello squallido cortile della scuola.
La madre rispose: Ma certo! Anzi andiamo a metterla subito.
Si avvicinò con i figli ad un tavolino sistemato in un angolo del piccolo locale accanto al camino acceso. Sulla superficie del tavolo era stato allestito un piccolo presepe, una grotta di cartapesta con una bella stella cometa di stagnola sulla sommità. Dentro erano sistemate le statuine di gesso della Madonna, di san Giuseppe e di Gesù bambino insieme ad un asinello e ad un bue. Il bambinello stava in una mangiatoia ricavata da una piccola scatola di cartone marrone. Appena fuori della grotta pascolavano alcune pecorelle sorvegliate da due pastorelli, tutti rigorosamente di gesso. Le statue apparivano certamente datate e dovevano aver vissuto parecchie avventure a giudicare da come erano ridotte anche se la cura con cui la scena era rappresentata aveva un che di poetico.
Il padre disse con voce grave: Bambini so che non vi piace che ve lo chieda, ma devo farlo per il vostro bene, per il bene della nostra famiglia. Avete detto qualcosa a qualcuno quando raccoglievate l’erba? Le maestre vi hanno visto? Vi hanno detto qualcosa?
Il più grande a bassa voce guardando prima i fratelli e poi i genitori rispose: No papà, stai tranquillo. Abbiamo fatto attenzione che nessuno ci vedesse. Facciamo sempre attenzione. Non abbiamo detto niente a nessuno, non parliamo mai con nessuno di queste cose proprio come ci avete insegnato a fare tu e la mamma...
La donna interruppe il figlio ed esclamò: Caro, non è il momento, ti prego! So che sei preoccupato, ma non parliamone ora...
L’uomo replicò: Ma è importante! Dobbiamo essere scrupolosi...
La moglie lo supplicò: Per favore non ora! È stata una lunga giornata per tutti, godiamoci questo momento tutti insieme!
L’uomo parve voler replicare, ma poi dopo un lungo sospiro prese per mano il piccolino e appoggiò una mano sulla spalla del più grande. Poi tutti e cinque si avvicinarono al presepe. Stettero in silenzio alcuni istanti poi la madre iniziò a recitare a bassa voce una preghiera e gli altri membri della famiglia si unirono immediatamente a lei. Dopo aver pregato rimasero lì a guardare le statuine come incantati.
L’uomo si avvicinò al camino e prese in mano un pezzo di legna per ravvivare il fuoco.
Fu allora che la porta della casa si abbatté di schianto e la finestra letteralmente esplose proiettando schegge in ogni direzione. La stanza sembrò riempirsi di colpo di uomini in divisa scura che si avventarono sui suoi figli e su sua moglie. Ripresosi immediatamente dallo shock (forse anche grazie all’adrenalina) fece per lanciarsi sui due più vicini a lui che avevano immobilizzato la moglie, ma qualcosa lo colpì alla nuca da dietro e il buio calò improvvisamente.
Quando rinvenne si accorse di essere inginocchiato a terra, con le braccia legate dietro la schiena e trattenute da due agenti. La testa gli doleva come fosse trafitta da mille aghi e pareva che le forze gli fossero state succhiate via. Sentì singhiozzare e solo allora si rese conto che poco più in là sua moglie era a terra, anch’essa legata e bloccata da due energumeni.
Stai bene? Ti hanno fatto del male? chiese e poi guardandosi intorno aggiunse gridando: Ma dove sono i bambini? I nostri bambini che fine hanno fatto?
Appena ebbe finito di pronunciare quelle parole uno degli agenti gli sferrò un pugno nello stomaco che lo costrinse a piegarsi in due dal dolore.
L’uomo in divisa gridò: Stai in silenzio! Parlerai tra poco quando lui arriverà e bada di rispondere bene se non vuoi peggiorare la tua situazione!
Passarono alcuni minuti (che parevano ore) interrotti solo dai singhiozzi della donna. Entrarono altri agenti e dietro di loro arrivò proprio lui. L’uomo alzò lo sguardo verso il nuovo arrivato e istintivamente sentì raggelarsi il sangue nelle vene. Non sapeva il suo nome, nessuno lo sapeva, ma tutti (tutti quelli che avevano avuto la sfortuna di farsi trovare da lui) lo chiamavano il commissario.
Era un uomo non troppo alto, piuttosto magro. Portava una divisa e spiccavano i suoi anfibi tirati a lucido quasi fossero appena usciti dalla fabbrica. Era avvolto in un impermeabile di colore scuro e i suoi passi risuonavano in modo surreale in quel piccolo spazio. Ma forse ciò che più inquietava erano i suoi occhi chiari, tra il grigio e l’azzurro, freddi come il ghiaccio e altrettanto duri.
Si fermò dinanzi alla donna che continuò a piangere sommessamente e poi proseguì verso l’uomo inginocchiato.
Il commissario esclamò: Finalmente ci incontriamo! Ammetto che iniziavo ad infastidirmi perché ero sulle vostre tracce da molto tempo! Devo dire che mi mancherà questo gioco, in fondo... era quasi divertente.
Allora non sei curioso di sapere come ho fatto a trovarvi? E non guardarmi così, in fondo sai benissimo chi sono e poi prima desidero parlare un po’ con te!
L’uomo deglutì a fatica e sentì la stretta degli agenti sulle sue braccia, segno che volevano che parlasse. Tenendo lo sguardo verso il basso chiese: Chi ci ha tradito questa volta? Chi ci ha denunciato?
Richiuse in fretta la porta e si diresse a grandi passi verso i nuovi entrati che, una volta tolti i cappotti, rivelarono essere una donna adulta e tre bambini.
Avete prestato attenzione lungo la strada? Vi siete incontrati nel punto prefissato? Siete sicuri che nessuno vi abbia seguito?
La donna rispose: Stai tranquillo, lo abbiamo fatto tante volte da conoscere a memoria ogni angolo e sappiamo quanto sia importante per la nostra sicurezza.
L’uomo la guardò con intensità senza dire nulla poi con slancio la abbracciò e la baciò e si rivolse quindi ai bambini: Eccoli i miei ragazzi! Allora come è andata la giornata? Come è andata la scuola?
Prese in braccio il più piccolo dei tre e lo lanciò in aria facendolo ridere fragorosamente. Gli altri due si avvicinarono abbracciando le gambe del padre senza dire nulla, ma quel gesto valeva più di mille parole. Appena lo ebbe messo giù il piccolino esclamò: Mamma, papà! Stamattina nel cortile della scuola abbiamo raccolto un po’ di erba secca... possiamo usarla per la paglia della stalla? Ne metto un po’ nella mangiatoia!
Allora anche i fratelli tirarono fuori dalle tasche dei loro cappotti un bel po’ di ciuffi d’erba giallognola sicuramente strappati dagli angoli dello squallido cortile della scuola.
La madre rispose: Ma certo! Anzi andiamo a metterla subito.
Si avvicinò con i figli ad un tavolino sistemato in un angolo del piccolo locale accanto al camino acceso. Sulla superficie del tavolo era stato allestito un piccolo presepe, una grotta di cartapesta con una bella stella cometa di stagnola sulla sommità. Dentro erano sistemate le statuine di gesso della Madonna, di san Giuseppe e di Gesù bambino insieme ad un asinello e ad un bue. Il bambinello stava in una mangiatoia ricavata da una piccola scatola di cartone marrone. Appena fuori della grotta pascolavano alcune pecorelle sorvegliate da due pastorelli, tutti rigorosamente di gesso. Le statue apparivano certamente datate e dovevano aver vissuto parecchie avventure a giudicare da come erano ridotte anche se la cura con cui la scena era rappresentata aveva un che di poetico.
Il padre disse con voce grave: Bambini so che non vi piace che ve lo chieda, ma devo farlo per il vostro bene, per il bene della nostra famiglia. Avete detto qualcosa a qualcuno quando raccoglievate l’erba? Le maestre vi hanno visto? Vi hanno detto qualcosa?
Il più grande a bassa voce guardando prima i fratelli e poi i genitori rispose: No papà, stai tranquillo. Abbiamo fatto attenzione che nessuno ci vedesse. Facciamo sempre attenzione. Non abbiamo detto niente a nessuno, non parliamo mai con nessuno di queste cose proprio come ci avete insegnato a fare tu e la mamma...
La donna interruppe il figlio ed esclamò: Caro, non è il momento, ti prego! So che sei preoccupato, ma non parliamone ora...
L’uomo replicò: Ma è importante! Dobbiamo essere scrupolosi...
La moglie lo supplicò: Per favore non ora! È stata una lunga giornata per tutti, godiamoci questo momento tutti insieme!
L’uomo parve voler replicare, ma poi dopo un lungo sospiro prese per mano il piccolino e appoggiò una mano sulla spalla del più grande. Poi tutti e cinque si avvicinarono al presepe. Stettero in silenzio alcuni istanti poi la madre iniziò a recitare a bassa voce una preghiera e gli altri membri della famiglia si unirono immediatamente a lei. Dopo aver pregato rimasero lì a guardare le statuine come incantati.
L’uomo si avvicinò al camino e prese in mano un pezzo di legna per ravvivare il fuoco.
Fu allora che la porta della casa si abbatté di schianto e la finestra letteralmente esplose proiettando schegge in ogni direzione. La stanza sembrò riempirsi di colpo di uomini in divisa scura che si avventarono sui suoi figli e su sua moglie. Ripresosi immediatamente dallo shock (forse anche grazie all’adrenalina) fece per lanciarsi sui due più vicini a lui che avevano immobilizzato la moglie, ma qualcosa lo colpì alla nuca da dietro e il buio calò improvvisamente.
Quando rinvenne si accorse di essere inginocchiato a terra, con le braccia legate dietro la schiena e trattenute da due agenti. La testa gli doleva come fosse trafitta da mille aghi e pareva che le forze gli fossero state succhiate via. Sentì singhiozzare e solo allora si rese conto che poco più in là sua moglie era a terra, anch’essa legata e bloccata da due energumeni.
Stai bene? Ti hanno fatto del male? chiese e poi guardandosi intorno aggiunse gridando: Ma dove sono i bambini? I nostri bambini che fine hanno fatto?
Appena ebbe finito di pronunciare quelle parole uno degli agenti gli sferrò un pugno nello stomaco che lo costrinse a piegarsi in due dal dolore.
L’uomo in divisa gridò: Stai in silenzio! Parlerai tra poco quando lui arriverà e bada di rispondere bene se non vuoi peggiorare la tua situazione!
Passarono alcuni minuti (che parevano ore) interrotti solo dai singhiozzi della donna. Entrarono altri agenti e dietro di loro arrivò proprio lui. L’uomo alzò lo sguardo verso il nuovo arrivato e istintivamente sentì raggelarsi il sangue nelle vene. Non sapeva il suo nome, nessuno lo sapeva, ma tutti (tutti quelli che avevano avuto la sfortuna di farsi trovare da lui) lo chiamavano il commissario.
Era un uomo non troppo alto, piuttosto magro. Portava una divisa e spiccavano i suoi anfibi tirati a lucido quasi fossero appena usciti dalla fabbrica. Era avvolto in un impermeabile di colore scuro e i suoi passi risuonavano in modo surreale in quel piccolo spazio. Ma forse ciò che più inquietava erano i suoi occhi chiari, tra il grigio e l’azzurro, freddi come il ghiaccio e altrettanto duri.
Si fermò dinanzi alla donna che continuò a piangere sommessamente e poi proseguì verso l’uomo inginocchiato.
Il commissario esclamò: Finalmente ci incontriamo! Ammetto che iniziavo ad infastidirmi perché ero sulle vostre tracce da molto tempo! Devo dire che mi mancherà questo gioco, in fondo... era quasi divertente.
Allora non sei curioso di sapere come ho fatto a trovarvi? E non guardarmi così, in fondo sai benissimo chi sono e poi prima desidero parlare un po’ con te!
L’uomo deglutì a fatica e sentì la stretta degli agenti sulle sue braccia, segno che volevano che parlasse. Tenendo lo sguardo verso il basso chiese: Chi ci ha tradito questa volta? Chi ci ha denunciato?
Andrea Musso
mercoledì 20 dicembre 2017
Radio Monte Grappa: Centro Studi Livatino: Il ministro della Salute riconosce la lacuna nella legge dat
Confermata l’opportunità di un rinvio alle Camere da parte del Capo dello Stato
Pochi minuti fa il ministro della Salute ha risposto a una question time proposta dall’on. Alessandro Pagano, che ha posto la questione dell’applicazione della legge sulle dat agli ospedali cattolici: una questione che era stata sollevata due giorni fa dall’appello inviato al Capo dello Stato dal Centro studi Livatino, dal Comitato Difendiamo i nostri Figli e da rappresentanti di medici e di istituti sanitari cattolici.
L’on. Lorenzin ha riconosciuto l’esistenza del problema, cioè l’assenza nella legge di una norma che disciplini l’obiezione di coscienza, o che esenti dalle nuove disposizioni gli istituti sanitari cattolici.
Lo ha riconosciuto a tal punto da annunciare un suo incontro con i rappresentanti di tali istituti al fine di individuare un equilibrio fra le norme appena approvate e la tutela delle intime posizioni di coscienza dei medici e del personale sanitario.
Apprezzando la franchezza del ministro, rileviamo che l’incontro annunciato, e gli atti eventualmente seguenti - una circolare ministeriale? - non avranno mai la forza di colmare una voluta e conclamata lacuna della legge primaria. Ciò conferisce ancora più ragione all’auspicio che il Presidente della Repubblica, come chiesto dal nostro appello, rinvii con proprio messaggio al Parlamento il disegno di legge Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento per consentire che quel vulnus, apertamente ammesso dal ministro del settore, sia sanato. E per evitare un interminabile e costoso contenzioso, che sarebbe solo fonte di confusione e di danni per pazienti e medici.
Pochi minuti fa il ministro della Salute ha risposto a una question time proposta dall’on. Alessandro Pagano, che ha posto la questione dell’applicazione della legge sulle dat agli ospedali cattolici: una questione che era stata sollevata due giorni fa dall’appello inviato al Capo dello Stato dal Centro studi Livatino, dal Comitato Difendiamo i nostri Figli e da rappresentanti di medici e di istituti sanitari cattolici.
L’on. Lorenzin ha riconosciuto l’esistenza del problema, cioè l’assenza nella legge di una norma che disciplini l’obiezione di coscienza, o che esenti dalle nuove disposizioni gli istituti sanitari cattolici.
Lo ha riconosciuto a tal punto da annunciare un suo incontro con i rappresentanti di tali istituti al fine di individuare un equilibrio fra le norme appena approvate e la tutela delle intime posizioni di coscienza dei medici e del personale sanitario.
Apprezzando la franchezza del ministro, rileviamo che l’incontro annunciato, e gli atti eventualmente seguenti - una circolare ministeriale? - non avranno mai la forza di colmare una voluta e conclamata lacuna della legge primaria. Ciò conferisce ancora più ragione all’auspicio che il Presidente della Repubblica, come chiesto dal nostro appello, rinvii con proprio messaggio al Parlamento il disegno di legge Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento per consentire che quel vulnus, apertamente ammesso dal ministro del settore, sia sanato. E per evitare un interminabile e costoso contenzioso, che sarebbe solo fonte di confusione e di danni per pazienti e medici.
lunedì 18 dicembre 2017
Lettera dal fronte: È un giorno triste per l'Italia
La norma sul fine vita appena votata in Parlamento, che di fatto legalizza l'eutanasia omissiva nel nostro paese, non è solo frutto dei voti espressi in aula, ma anche di ogni silenzio o messaggio ambiguo, susseguitisi in questi ultimi anni a ogni livello, sia politico che ecclesiastico.
Non basta esprimere un timido "no" quando ormai i giochi sono fatti e dopo troppe occasioni perse e interventi ambigui, fraintendibili e sbagliati.
Non basta neppure votare contro la norma se prima si è contribuito a tenere politicamente in piedi, dandole fiducia, la stessa maggioranza che ora ha partorito questa norma di morte.
La responsabilità politica rimane.
Si è raggiunta una "soluzione normativa il più possibile condivisa"? È questo il nuovo metro di giudizio anche cristiano? Non conta più dare da bere e da mangiare a chi ne ha bisogno per sopravvivere? Non crediamo più nella sacralità della vita? Abbiamo rinunciato a chiamare male il male e bene il bene senza relativizzare "caso per caso"?
Infondo era già tutto troppo chiaro nel disagio espresso (di nuovo a tutti i livelli), tra mezze parole tirate di bocca e silenzi troppo lunghi e assordanti, durante i giorni in cui veniva condannato a morte il piccolo Charlie.
Sì, è un giorno triste...per l'Italia, per i nostri figli, per i malati di oggi e di domani...e per una chiesa italiana incapace di testimoniare Cristo, vittima di una strategica quanto infruttuosa timidezza e corrotta dalla ricerca dell'unico principio rimasto non negoziabile (insieme allo ius soli) e per nulla evangelico: il dialogo.
Abbiamo forse paura di perdere i "30 denari" dell'8x1000 e per non perderli lasciamo che con questi comprino i nostri silenzi e il nostro tradimento?
A questo punto non sarebbe più utile "restituirli" come fece Giuda e rimettersi in ginocchio come fece Pietro?
L'alternativa sarà inevitabilmente diventare sempre più incapaci di parlare di vita (suicidandosi come Giuda) e di speranza (che ha permesso a Pietro di chiedere perdono e di non cedere alla disperazione e al male come Giuda).
Il piano è sempre più inclinato. Capiremo il costo culturale e sociale di quanto accaduto oggi (e permesso da troppi) solo sul lungo termine.
Ognuno risponderà non solo per quanto detto e fatto, ma anche per ciò che avrebbe potuto fare e non ha fatto e per ciò che avrebbe potuto dire e non ha detto.
A tutti noi ora il compito di tenere accesa la fiamma della dignità di ogni vita umana, come uomini, come cristiani, come Chiesa e, quando servirà, nonostante la chiesa.
Sarà sempre più complicato, ma necessario.
Sì, oggi è un giorno triste... molto triste.
Non basta esprimere un timido "no" quando ormai i giochi sono fatti e dopo troppe occasioni perse e interventi ambigui, fraintendibili e sbagliati.
Non basta neppure votare contro la norma se prima si è contribuito a tenere politicamente in piedi, dandole fiducia, la stessa maggioranza che ora ha partorito questa norma di morte.
La responsabilità politica rimane.
Si è raggiunta una "soluzione normativa il più possibile condivisa"? È questo il nuovo metro di giudizio anche cristiano? Non conta più dare da bere e da mangiare a chi ne ha bisogno per sopravvivere? Non crediamo più nella sacralità della vita? Abbiamo rinunciato a chiamare male il male e bene il bene senza relativizzare "caso per caso"?
Infondo era già tutto troppo chiaro nel disagio espresso (di nuovo a tutti i livelli), tra mezze parole tirate di bocca e silenzi troppo lunghi e assordanti, durante i giorni in cui veniva condannato a morte il piccolo Charlie.
Sì, è un giorno triste...per l'Italia, per i nostri figli, per i malati di oggi e di domani...e per una chiesa italiana incapace di testimoniare Cristo, vittima di una strategica quanto infruttuosa timidezza e corrotta dalla ricerca dell'unico principio rimasto non negoziabile (insieme allo ius soli) e per nulla evangelico: il dialogo.
Abbiamo forse paura di perdere i "30 denari" dell'8x1000 e per non perderli lasciamo che con questi comprino i nostri silenzi e il nostro tradimento?
A questo punto non sarebbe più utile "restituirli" come fece Giuda e rimettersi in ginocchio come fece Pietro?
L'alternativa sarà inevitabilmente diventare sempre più incapaci di parlare di vita (suicidandosi come Giuda) e di speranza (che ha permesso a Pietro di chiedere perdono e di non cedere alla disperazione e al male come Giuda).
Il piano è sempre più inclinato. Capiremo il costo culturale e sociale di quanto accaduto oggi (e permesso da troppi) solo sul lungo termine.
Ognuno risponderà non solo per quanto detto e fatto, ma anche per ciò che avrebbe potuto fare e non ha fatto e per ciò che avrebbe potuto dire e non ha detto.
A tutti noi ora il compito di tenere accesa la fiamma della dignità di ogni vita umana, come uomini, come cristiani, come Chiesa e, quando servirà, nonostante la chiesa.
Sarà sempre più complicato, ma necessario.
Sì, oggi è un giorno triste... molto triste.
Claudio Larocca