sabato 24 giugno 2017

Cecchino: Lettera a La Voce e Il Tempo

Gentile direttore,

le scrivo per condividere le ragioni di quella che credo sia stata e continui ad essere una “buona battaglia” di civiltà. Mi sto riferendo alla veglia delle Sentinelle in Piedi, di cui si è data notizia anche su questo giornale. Da qualche anno a questa parte, con alcuni amici, sono tra i responsabili torinesi di tale movimento di popolo e apartitico; e poc'anzi alludevo proprio alla battaglia che chi si riconosce nella sua mission fa dal 2013.

Sabato 22 aprile siamo tornati in piazza per dire sì alla vita e alla dignità di ogni persona. Gesto che ripetiamo dall'agosto 2013 e tutte le volte in cui la libertà e il diritto di dire la verità sull'uomo è minacciata da disegni di legge ingiusti e perniciosi. In questo modo abbiamo contrastato il ddl Scalfarotto e il ddl Cirinnà. Il primo costituiva un attentato alla libertà di espressione (e noi giornalisti, come gli insegnati, abbiamo rischiato molto a causa di certi libretti e linee guida UNAR); il secondo una ferita terribile alla dignità della donna, perché apriva (e i fatti lo hanno dimostrato) alla pratica barbara dell'utero in affitto; una ferita al diritto dei bambini di avere madre e padre; una ferita all'uomo e alla donna, perché negava l'importanza della loro complementarietà.

Abbiamo detto i nostri sì ma anche il nostro no. No alla cultura della morte, contenuto nel disegno di legge sulle Dat-dichiarazioni anticipate di trattamento/testamento biologico, passato il 19 aprile alla Camera e ora in discussione al Senato. Una legge non orientata verso il favor vitae, che con sotterfugi aggira il buon senso comune e quei princìpi che tutelano la vita e la salute delle persone, come ricordano gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e gli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Le questioni in gioco sono tante, le più importanti riguardano la vincolatività alle Dat per il medico, il quale rischia di non poter esprimere la giusta obiezione di coscienza, e la possibilità di sospendere idratazione e nutrizione, che non sono terapie ma sostegni vitali, in qualunque modo siano somministrati. Il testo del D.lgs, lo abbiamo letto più volte, è superficiale e mal scritto, pessimo sul piano tecnico (ricorda un'altra legge, altrettanto ideologica, Cirinnà bis). L’articolo 1 dell’attuale legge stabilisce che il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale. Detto in parole povere: io paziente posso chiedere qualunque cosa e il medico è vincolato a fare quello che dico io; così salta la ratio del Servizio sanitario nazionale, che dovrebbe riconoscere appunto il favor vitae; si distrugge il principio di professionalità e deontologia del medico – che da professionista agisce “in scienza e coscienza” (che in questo testo non viene mai citata) diventa un mero esecutore delle scelte del malato –, ma anche verso una situazione di sanità assurda.

Dunque, rende “disponibile” il diritto alla vita, perché di fatto introduce l'idea che sia la cosiddetta qualità della vita a determinare se essa sia degna di essere vissuta oppure no. Prevede che la nutrizione e l'idratazione, cioè dare cibo e acqua a un malato, possano essere equiparati a trattamenti medici e di conseguenza possano essere arbitrariamente sospesi. Orienta la medicina non alla cura del paziente, ma all'assecondare una volontà di suicidio, che la legge impone anche alle cliniche e agli ospedali cattolici (pensiamo solo al San Camillo di Roma, ove di recente è stato imposto un medico non obiettore, e favorevole all'aborto), i cui dirigenti non avranno perciò il diritto all'obiezione di coscienza, perché costretti a garantire l'esecuzione di pratiche eutanasiche. Qualora passasse la legge si applicherebbe tra l'altro ai minorenni, quindi anche ai bambini, aprendo così la strada ad ogni arbitrio, come già avviene in altri Paesi quali Belgio, Olanda e Francia.

Paesi che qualcuno pensa di indicarci quale esempio di civiltà, dove invece è stato smarrito il senso di sacralità della vita e dove si è presto passati da un'eutanasia volontaria a quella imposta dall'arbitrio dei medici, i quali stabiliscono quali siano le vite degne di essere vissute e quelle da scartare, a volte perché troppo costose. Come sta avvenendo da ultimo nel Regno Unito, dove medici e giudici vogliono staccare la spina al piccolo Charlie di otto mesi, perfino contro la volontà dei genitori.

Allo stesso tempo, non può non destare preoccupazione, soprattutto in chi si occupa di comunicazione, ché deve stare ai fatti senza mistificazioni e omissioni, il tentativo di far passare in fretta e furia una legge che tocca la sacralità della vita umana, e quello di imbavagliare chiunque ricordi ciò e dica che con essa non si giochi.

Di fronte a queste sfide lanciate all'umano, noi Sentinelle non possiamo far finta di niente.
Per questo siamo scesi in piazza e continueremo a farlo, con “un cuore tenero, uno spirito forte” come i ragazzi della Rosa Bianca ci hanno insegnato. Per salvaguardare la libertà e la coscienza nostra e di ogni persona. Abbiamo scelto la piazza perché quello che non difendiamo oggi pubblicamente potremmo presto non poterlo più difendere lì dove si svolge la nostra vita quotidiana. Con la nostra presenza ferma e silenziosa ribadiamo quello che il pensiero unico non vuole sentire, ossia che esiste un bene e un male, esiste una verità sull'uomo che nessuna legge potrà mai cambiare.

Prima di concludere, vorrei ringraziarla a nome mio e delle altre sentinelle torinesi, per lo spazio e il supporto che abbiamo trovato sulla sua testata.


Ps. errata corrige: nell'articolo che ha annunciato la veglia di sabato 22 aprile, su La Voce e il Tempo scorso, è comparso: “le Sentinelle in piedi, vicine ad Alleanza Cattolica [...]”. Tale affermazione non è corretta, poiché sottintende che il movimento di popolo in questione sia identificabile soltanto con una precisa realtà. Certo, l'associazione AC dona un contributo inestimabile all'organizzazione degli eventi legati alle Sentinelle ma non è l'unica. Da quando sono nate, nell'agosto 2013, sulla scia dei “Veilleurs debout” (sentinelle) francesi, le Sentinelle in piedi, sono riuscite a innescare un movimento di popolo che in Italia ha coinvolto oltre trentamila persone – cattolici, evangelici, musulmani, non credenti –. Tutte unite da una preoccupazione: “non si può imbavagliare il diritto di ricordare ciò che la Verità sull'uomo rivela, come questi: un bambino ha bisogno di mamma e papà, la complementarietà di questi è fondamentale, la dignità umana è sacra, dal suo concepimento fino al momento supremo della sua morte”.

Salmerìa 25.2017

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giovedì 22 giugno 2017

Obice: La paura come strumento per nascondere gli errori

Dal punto di vista psicologico la paura è legata alla percezione di un pericolo reale, concreto e puntuale; anche se appartiene alla sfera emotiva, essa rimane sempre frutto di una valutazione a proposito di quanto sta accadendo, compiendo una previsione sul possibile andamento delle cose.

Questo sentimento si trova alla base delle più svariate motivazioni del comportamento umano, e può manifestarsi in ogni possibile scelta, ma soprattutto nelle non scelte. Essa può anche essere considerata come il motore essenziale degli affetti, delle relazioni, della storia, come del diritto, dell'economia e degli ultimi ritrovati dell'elettronica: gli antifurti, i metal detectors, i satelliti artificiali, le porte blindate, le videocamere, sempre più presenti nelle nostre città, trovano nella paura la loro ragion d'essere. Per non parlare poi dell'ultimo decennio, così segnato dall'aumento di attacchi terroristici.

Tali parole possono fornire una spiegazione dei tristi fatti avvenuti in piazza San Carlo sabato 3 giugno. Ora, alle migliaia di feriti usciti dalla piazza, bisogna purtroppo aggiungere la morte di una donna, avvenuta di recente.

A provocare dispiaceri non vi sono solo queste notizie, vi è anche l'irrispettoso comportamento dei media. I servizi giornalistici non sono riusciti a offrire nessun tipo di confort; anzi, sulla scia di una inefficace reazione politica, tutta polemica e niente più, hanno alimentato ancora di più le paure, sfruttando addirittura quanto poi è accaduto oltre Manica, più o meno nelle stesse ore, dove la furia islamista ha provocato nuove vittime. Slogan come “la paura di essere uccisi in ogni luogo”, “la paura dell'isis”, usati come mantra dai giornalisti, sono stati usati per trovare rapidamente un responsabile, la paura appunto.

D'altronde la paura e la morte spesso non sono occasione per mostrare rispetto umano e fornire rassicurazioni e speranza, ma al contrario, l'opportunità per vendere di più, sfruttando la spettacolarizzazione dei fatti. Per i media “sciacalli”, cartacei e digitali, è un'occasione ghiotta nella quale vendere di più.

Siamo nell'aerea della consapevolezza diffusa del rischio, definita così dallo studioso Anthony Giddens, la quale ci permette di capire che i mass media hanno un ruolo fondamentale nel modulare e determinare le percezioni dei pericoli e delle minacce: spesso essi stessi enfatizzano le notizie di disastri o di attacchi terroristici, cedendo alla spettacolarizzazione e al sensazionalismo; in tal modo, contribuiscono a creare un clima di terrore e di attesa del pericolo. Non a caso, molti sociologi politologi definiscono quanto appena detto come la variabile innovativa, per alcuni addirittura una vittoria, del terrorismo attuale.

Però, nel caso di Torino, pare proprio che la scusa “paura per attentati” abbia fatto comodo al sindaco Chiara Appendino e a tutti i membri dell'establishment torinese che l'appoggiano (sì, e conta più della “rete di Grillo”; amici 5S prima lo capite e meglio è). E questo potrebbe spiegare perché La Stampa e La Repubblica non abbiano mosso una vera guerra contro di lei.

Per fare un buon servizio, i media avrebbero dovuto spostare l'attenzione dalla psicosi per il fondamentalismo islamico all'incapacità, alla dabbenàggine dell'amministrazione 5Stelle. Può anche starci che degli scemi abbiano profittato del clima di paura per scatenare il fini mondo, tuttavia, rimarrebbe un fatto ineludibile: “qualcuno” gli ha fornito il pretesto, costipando in una piccola piazza troppe persone, oltre la sua capacità di accoglienza massima. Perciò, si può dire che anche dal capoluogo piemontese, dopo Roma Parma Livorno, giungono prove dell'incapacità loro di amministrare le città.

E non solo incapacità, anche irresponsabilità, perché in una piccola piazza come San Carlo non si fanno entrare migliaia di persone e non si risponde con una nota di questo tipo, in pieno stile 'scarica barile': “Il soggetto organizzatore, Turismo Torino (ente pubblico che si occupa della promozione della città, ndr) ha operato con le medesime modalità messe in atto nel 2015 in occasione della finale proiettata il 6 giugno”. Come dire, 'beh, prima di noi, l'han fatto quelli del PD'. Verrebbe da dire che bella coppia di somari, PD-M5S.

Di conseguenza, non possono non nascere alcune domande. Perché il sindaco non ha permesso la visione della partita allo stadio della Juventus? Forse Allianz Italia, che darà il nome allo stesso, non ha voluto?

Perché non ha permesso che più piazze ospitassero dei maxi-schermo per la partita? Piazza Castello, Piazza Vittorio Veneto sarebbero stati luoghi perfetti e anche ben difendibili. Si spera che non sia trionfata la logica tutta grillina e molto ideologica del "pareggio di bilancio": per non avere ulteriori debiti, si fanno tagli, anche alle manifestazioni pubbliche, oltre che ai trasporti e alle scuole.

Perché non ha firmato un'ordinanza in grado di vietare qualsiasi tipo di vendita abusiva di bibite?

Se qualcuno avesse dubbi sulla colpevolezza del sindaco, risponderei citando Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».

Certo, i fatti di piazza San Carlo non sono stati eventi funesti cercati e voluti. Questo no. Vale la pena ripeterlo, è stata una disgrazia provocata dall'incapacità e dall'irresponsabilità. E la situazione per Appendino si aggrava, se si ricorda che lei fino al 12 giugno ha tenuto la delega alla polizia municipale alla sicurezza e alle attività e manifestazioni culturali (delega che esercitava attraverso il suo capo di gabinetto Paolo Giordana, le cui competenze sono ora ridimensionate).

Ora, si spera che i membri dell'opposizione sia al Palazzo Rosso che nella società civica, cattolici e non, animato dal buon senso comune, sappiano costruire una sana resistenza, siccome il PD è inaffidabile nella stessa misura dei 5S, per i principi e i (dis)valori che diffonde e giacché nel 2015 ha rischiato una situazione altrettanto difficile, e lanciare un progetto politico/un'alternativa valida affidabile e chiara (senza Appendino) ora e per le prossime elezioni. Magari puntando a far cadere il sindaco prima, chissà.

Uniche note positive di tutta la faccenda: grazie a Dio, il servizio di soccorso è stato impeccabile, nonostante un luogo poco strategico e una folla disordinata, prestando subito soccorso. Altrimenti, ci sarebbero state problematiche ben peggiori.

Per finire, non si può non leggere la lettera che Laura Cefalo ha scritto per onorare Erika, la ragazza che è mancata a causa della "stampede" del 3 giugno:
«Le persone muoiono nei modi più disparati. Malattie, incidenti.
Eppure sono sempre realtà aliene, sfighe altrui, un brivido lungo la schiena e un lampo che ti attraversa la mente "sono fortunata".
Stavolta è diverso.
Anche stavolta è toccato a qualcun altro, ma in un modo così randomico che il brivido non basta.
In quella piazza eravamo decine di migliaia, e, come Erika, eravamo in tante ad aver fatto un gesto d'amore e sopportato caldo, ressa e sudore solo per far vivere ai nostri fidanzati una serata magica, nel bene o nel male.
Era una festa.
Era l'unico modo, pensavamo, per affrontare serenamente anche una sconfitta.
Almeno si potrà consolare con altri come lui, che lo capiscono, invece di rompere a me con fuorigioco, azioni sospette, scelte tecniche sbagliate. "Ma cosa vuoi da me, io non so cosa dirti, è solo una partita, parlane con i tuoi amici tifosi."
Forse, Erika, eri la bionda dietro di me che ha messo la maglietta di Amauri perché "il mio ragazzo dice che porta fortuna".
O forse eri la ragazza che ha cucinato i maccheroni col pomodoro, ha portato parmigiano e piatti di carta per mangiare in piazza, con fidanzato e amici, seduti in cerchio per terra. "È tradizione!". Mi hai detto di fronte al mio sguardo stupito e divertito.
Mi hai strappato un sorriso, quel maledetto giorno.

Non so chi fossi, Erika.
Ma so che eri come me.
Una giovane donna. Magari avevi appena comprato casa anche tu. Magari pensavi a un bimbo col tuo fidanzato juventino, tra una lettura di gazzetta e uno sproloquio contro l'Inter.
Chissà che lavoro facevi, dove ti piaceva andare il sabato sera.

Tu eri me. E io sono te, potevo essere te.
Quella maledetta sera una mano invisibile ha fatto una conta beffarda.
Per la prima volta, la morte ha preso una persona a caso in una situazione in cui sarei potuta essere, benissimo, anche io.
E piango, piango per te perché non è giusto, è assurdo, nessuno pagherà.
Piango per i tuoi genitori, chissà quanto sono stati in pensiero quando hai detto loro che avresti visto la partita in piazza.
"Di questi tempi.. Non puoi evitare?". Quante volte me l'ha detto mia mamma.
Piango per il tuo ragazzo. Il mio ha i sensi di colpa da quel giorno, solo per lo shock che ho vissuto "a causa sua".
Ma non è causa sua, non è colpa vostra, le colpe sono tante ma non di chi voleva solo passare una serata diversa, potenzialmente bellissima.
E piango per me. Perché una storia così assurda non si può metabolizzare.
Io che ero patita di concerti, una da front row, ora sono terrorizzata dalla folla.
Perché in quei 20 minuti di follia in cui correvo senza scarpe, sui vetri, sporca di sangue non mio, la gente intorno a me che urlava "sparano, sparano", ero sicura che sarei morta. Ero lucida, ma atterrita. Pensavo solo a mia mamma, che dolore le avrei dato.

È così che succede, ho pensato.
No, non è così che succede, non tu, Laura. Ma è così che è successo per te, Erika.»
Fatti che onorano la patria italiana, hanno donato e donano Speranza in un momento storico così ricco di angosce.

mercoledì 21 giugno 2017

Obice: Ultime da Torino

Dopo il mese delle processioni mariane, del ritorno delle rondini, della fioritura della natura, con annesse allergie imbarazzanti, non poteva non ripetersi l'arcobaleno che da diversi anni attraversa le città principali del nostro paese nel mese di giugno. Questo perché l'Italia subisce le piogge tutto l'anno? Certo, ma non quelle metereologiche, bensì quelle ideologiche targate lgbt. La miglior etichetta con cui il pensiero unico o radicale di massa (di cui son fatti PD e M5S) ama mostrarsi in giro, o nelle piazze o e nei salotti buoni, oppure nelle scuole e all'università.
Quindi, sabato 17 maggio l'arcobaleno ha portato non unicorni e folletti con pentole colme d'oro ma carri pieni di militanti dei movimenti lgbt. Così il gay pride ha attraversato le strade di Milano, ove dura ancora fino alla fine della settimana, Torino e Alba. Le prime tappe di un lungo percorso.

Occasione ghiotta per l'establishment torinese, sempre attenta ai “nuovi eroi” del mainstream, attraverso cui ottenere prestigio presso le élite radicali americane ed europee, che in sede di OMS, ONU, Consiglio d'Europa impongono agende politiche anti-umane. Proprio per questo motivo in prima fila c'erano il sindaco Chiara Appendino, l'assessore alle Pari Opportunità e Famiglie (si fa per dire) Marco Giusta, il presidente del Consiglio regionale Mauro Laus e l'assessore regionale alle Pari Opportunità Monica Cerutti. Tutti a sfilare sotto il bandierone Piemonte pride e con il tema “A Corpo libero”. Che, a detta degli organizzatori, “consentirà di affrontare argomenti molto importanti: dall'autodeterminazione all'eutanasia, dalla transizione alla libertà individuale nella sua accezione più ampia”.

A questo punto, il lettore si chiederà: “Che c'entra l'eutanasia con la sfilata anti discriminazione?”. Se fossimo di fronte a persone con la volontà di essere ragionevoli, si potrebbe pensare che abbiano preso troppo sole estivo, però qui si è di fronte, come già si accennava sopra, a chi si erge a paladino dei cosiddetti nuovi diritti.

E c'è ancora da dire che se fossero davvero ragionevoli, nemmeno scenderebbero in piazza, giacché sicuramente dopo aver letto certi dati, ammetterebbero a se stessi che in atto non vi è nessuna discriminazione ai danni delle persone di orientamento omosessuale. I dati in questione non mentono. Infatti sono le stesse associazioni a loro vicine a parlarne: la Rete Lenford a tutela delle rivendicazioni gay e l'associazione Park legata al mondo del lavoro hanno di recente pubblicato dati da cui si evince che in Italia non vi sono atti significativi di discriminazioni.

C'è da dire anche che in realtà chi si propone come loro rappresentante politico culturale, tra cui i promotori del pride, non le rappresenta tutte. Perché, come si diceva all'inizio, a Torino e nel resto d'Europa, sono interessati (e pure finanziati da) ad un'etichetta, quella lgbt, che è una piccola fetta del loro mondo, pur avendo molto potere; di fatti, si chiama lobby e per questo impedisce che si conoscano quei dati.

E questo è confermato sia dal manifesto sia dalle pretese del pride torinese dello scorso anno: “Il domani ci appartiene” con gigantografia di un ignaro bebè. E addirittura quest'anno pare proprio che si sia andati oltre, perché dalla semplice foto si è passati ai bambini in carne ed ossa sul palco al momento conclusivo in Piazza Statuto.

Ecco dov'è il punto. La lotta alle discriminazioni contro le persone – di per sé ineccepibile – non è che un cavallo di Troia, come confermano da tempo diversi fatti di cronaca, per pretendere ciò che per natura non gli spetta: la possibilità di avere figli e la perfetta equiparazione al rapporto complementare; e fecondo tra un uomo donna, come ci suggerisce non solo la ragione umana ma anche l'insospettabile portavoce di homovox, Nathalie de Williencourt, che nel 2013 affermava: «Rappresentiamo la maggioranza dei francesi omosessuali ma non ci ascoltano. Non vogliamo il matrimonio, perché non siamo come le coppie eterosessuali, che possono fare figli»

Nota finale. Contro i trinariciuti del pensiero unico targato lgbt ci si mettono anche gli anarchici, che sempre a Torino hanno scritto sui muri messaggi inequivocabili: "Si fanno promotori della lotta all'omofobia nel mondo eppure il loro silenzio rispetto alle dinamiche violente e discriminatorie che si palesano nella nostra città è altrettanto rumoroso quanto le loro parole". E poi ancora: "Noi siamo qui per distruggere ogni vostro angolo di marketing".



lunedì 19 giugno 2017

Obice: Make Italy Africa Again: da campo profughi dell'Europa a sala parto dell'Africa


L’attuale dibattito in corso sullo ius soli (anche noto come ius sòla) è completamente assurdo.

Il Paese attraversa una fase storica piena di problemi relativi al fenomeno dell’immigrazione clandestina, e la risposta della politica buonista è, come al solito, all’insegna del buonismo e dell’incoscienza.

Sì, incoscienza, perché non rendersi conto delle conseguenze che avrebbe un provvedimento legislativo del genere, se si esclude la malafede, è da incoscienti completi.

Si sottovaluta il fattore attrattivo che avrebbe una misura del genere: le orde di disperati e delinquenti che partono ora dall’Africa non potrebbero che aumentare, al solo recepire il messaggio che i figli partoriti in Italia possono diventare italiani in maniera automatica. Quindi, di sicuro non potrebbero che aumentare gli sbarchi (già in numero esorbitante, molto più alti dell’anno scorso) e automaticamente, il numero di morti in mare che è comunque già altissimo. Ovviamente, con annesso aumento del giro di affari per i trafficanti di esseri umani e per le “caritatevoli” ONG.

Inoltre, l’ottenimento automatico della cittadinanza non è un sistema adeguato per verificare il processo di integrazione all’interno del sistema Paese. Una cittadinanza riconosciuta alla nascita non è garanzia di niente, dato che un figlio di immigrati può comunque crescere in un contesto degradato che lo porti ad odiare il Paese dove è cresciuto: in questo senso è esemplare il reclutamento dei nuovi jihadisti, che sono tutti cresciuti in paesi (Olanda, Belgio, Francia, Inghilterra) dove politiche simili sono state portate avanti da ben prima di noi e che si sono rivelate un completo fallimento.

Tra l’altro, un provvedimento del genere potrebbe avere un senso dal punto di vista economico solo se l’immigrazione verso l’Italia fosse di qualità (ingegneri, medici, manodopera specializzata e via dicendo). La realtà, purtroppo, ci smentisce anche su di questo: l’Italia è la meta del peggior analfabetismo, e il trend non può essere differente in futuro, dato che i Paesi di provenienza sono alcuni dei peggiori che il Terzo Mondo ha da offrire.

Data l’inconsistenza delle ragioni pratiche per fare una legge del genere, non può che rimanere un solo motivo, il più basso di tutti: quello elettorale.

In questo senso la legge in questione andrebbe a ad aggiungersi alla lista dei provvedimenti di pura bottega elettorale che sono già in programma per i prossimi mesi, come l’ennesima infornata di precari della scuola (voti a buon mercato, non c’è che dire).

Già, perché indipendentemente dalla voglia di Mattarella di farlo, nei prossimi mesi bisognerà che il Presidente della Repubblica sciolga le Camere ed indica le nuove elezioni politiche.

Una mossa del genere garantirebbe sicuramente un bacino elettorale più consistente, e avrebbe anche l’effetto di preparare il terreno per il futuro, con sempre più immigrati che ideologicamente andrebbero ad ingrossare la base elettorale del PD. I media di regime stanno portando avanti una campagna stampa strappalacrime dove si utilizzano i bambini delle elementari figli di immigrati per portare a casa questa legge, ma non facciamoci ingannare: il fine è elettorale, pochi discorsi.

Sembra quasi che il nostro Partito Democratico voglia imitare la strategia adottata tanti anni fa dal Partito Democratico USA per i quartieri ghetto degli afroamericani, dove lo stato dell’Illinois e la città di Chicago sono un esempio evidente. E’ dal 1992 che per le elezioni presidenziali vincono sempre i Democratici in Illinois, con numeri che dimostrano che se tutto lo Stato votasse Repubblicano, i voti per i Democratici della sola città di Chicago ribalterebbero il risultato finale in favore dei Democratici. Inutile dire che il contributo decisivo verrebbe dato dai voti dei ghetti afroamericani.

Un altro problema che pone questa legge è che in Italia si stanno mettendo le basi per un partito islamico. Secondo le stime della Fondazione Leone Moressa, questa legge avrebbe l’effetto di far diventare italiani immediatamente circa 800000 immigrati, e 60000 immigrati per ogni nuovo anno a seguire.

Ad un rapido esame, gli unici beneficiari di questa legge sarebbero il potenziale partito islamico e il PD. Il problema è che il PD non è potenziale, è esistente e (drammaticamente) funzionante. Onestamente, è già una pena vedere che circa un terzo dei votanti ogni volta voti nuovamente questo partito.

Vogliamo regalare altri voti al PD, al costo di una ulteriore invasione di immigrati (oltre a quella già in atto)?

Per essere cittadini italiani bisognerebbe almeno sapere che le fontane non sono adibite a questo uso

domenica 18 giugno 2017

Obice: Padre Sosa e le sue preoccupanti affermazioni

“Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male”, “Dottrina è una parola che non mi piace molto, porta con sé l’immagine della durezza della pietra. Invece la realtà umana è molto più sfumata, non è mai bianca o nera, è in uno sviluppo continuo”.
Queste sono alcune delle ultime affermazioni che padre Sosa ha reso pubbliche nel corso di interviste. Si sperava che il generale dei gesuiti si fermasse a “bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù... a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate” e che per queste assurdità, datate 18 febbraio 2017, chiedesse scusa, ritrattando. Purtroppo, così non è stato; anzi, ha rincarato la dose di asserzioni scandalose. Scandalose, quelle citate all'inizio, ma per nulla sorprendenti, dati i tempi non facili che corrono nella Chiesa. Da vari decenni, per esempio e per rimanere in tema, molte predicazioni e studi cattolici dimenticano il diavolo. Alcuni teologi non solo tacciono su questo personaggio della divina Rivelazione, ma spesso ne parlano come di una metafora banale: un frutto della fantasia pagana, penetrato poi nel giudaismo.

Considerando il ruolo che ricopre, risulta difficile credere che padre Sosa non si renda conto di quel che dice. Si potrebbe non essere in errore nel sostenere che stia appoggiando, assieme a quei teologi, sacerdoti e non, una linea che contraddice la dottrina cattolica, i fondamentali Esercizi Spirituali del suo fondatore Sant'Ignazio di Loyola e pure Papa Francesco, che non perde occasione per ricordare le tentazioni del diavolo. Si vede che gli interessi mondani preoccupano di più. Di fatti, chiunque abbia una conoscenza essenziale del catechismo, della teologia potrebbe riconoscerlo; e allo stesso tempo, questi si ricorderà che la Chiesa insegna da sempre che il demonio c’è e agisce, invitandoci con san Pietro (I lettera 5, 8-9) a vigilare perché “Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi”. E ancora “Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell'inferno, serbandoli per il giudizio (II lettera di San Pietro 2,4).

Ecco perché la Chiesa ha istituito anche la funzione dell’esorcistato per allontanare il demonio dalle persone che egli ha posseduto e dai luoghi che egli ha infestato. Per di più la Chiesa ci consegna la Sacra Scrittura assicurandoci che è davvero Parola di Dio, dotata di assoluta inerranza. Tutta la Bibbia, a cominciare dal Libro della Genesi, per esempio 3, 14-23, parla dell’esistenza del diavolo e degli angeli ribelli, della loro cacciata dal Cielo e della loro azione volta a impedire l’amicizia dell’uomo con Dio. Per non parlare del Nuovo Testamento: 27 libri canonici, tra cui i 4 Vangeli sinottici, in cui Cristo rivela che la propria missione è liberare gli uomini dal potere di Satana e quindi dal peccato. Non si dimentichino, perciò, gli esorcismi che Egli ha fatto, come nel caso dell'indemoniato di Gerasa (San Marco 5, 1-20), alle tre volte in cui ha respinto il diavolo, durante il digiuno di 40 giorni nel deserto (San Matteo 4,1-11, San Marco 1,12-13 e San Luca 4,1-13).

E da qui si può capire perché la dottrina i dogmi siano fondamentali: dogma, ossia «regula fidei», serve a fornire a ogni fedele il chiaro criterio di discernimento per sapere qual è la fede della Chiesa, che cosa ognuno deve credere e a chi deve dare ascolto; è l'aiuto, la scala verso il Cielo e non un peso. “Doni che rendono vivi”, perché portati da Gesù Cristo figlio del Dio vivente, incarnato morto e risorto per sottrarci al potere del peccato e del demonio. Eppure, alcuni cattolici veramente non ne credono e si dedicano a demolire la fede del popolo di Dio. Si tratta dell’eresia che rende gli uomini di Chiesa del tutto indifferenti al dogma, o anche insofferenti nei suoi confronti. Questa eresia ha un nome particolare, “modernismo - il coacervo di tutte le eresie”, come diceva San Pio X, giacché punta a demolire il dogma, lasciando lo spazio ad ogni opinione, anche a quella più strampalata. La reputazione di modernista rimane a padre Sosa, finché con sincerità non ritratta.

Certo, di audio con la voce di Gesù non ve ne sono, ma abbiamo qualcosa di più importante: la storia, che con i fatti ci dimostra la veridicità delle Sue parole. Non a caso, l'uomo ha vissuto realmente bene, con bontà bellezza sapienza giustizia, senza ansie e azioni diaboliche, proprio in quei secoli in cui ha ascoltato di più e non contestato i Suoi insegnamenti. Secoli nati dall'incontro del Figlio di Dio con l'uomo (questo è sopratutto il cattolicesimo) e dalle sue parole, le uniche in grado di dare la vita eterna.

Come conclusione, tornerà assai utile rileggere cosa affermava Papa Paolo VI il 29 giugno 1972: “debbo accusare la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”. E diversi mesi dopo, 15 novembre, egli aggiungeva: “Cari presbiteri quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa? Uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio”. Quindi, non si sottovaluti il Demonio, che esiste per davvero; è un essere oscuro e conturbante, ché con proditoria astuzia agisce ancora: è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana. È lui il perfido e astuto tentatore, che in noi sa insinuarsi, per via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica, o di disordinati contatti sociali nel gioco del nostro operare, per introdurvi deviazioni.

Diceva Lewis ne Le lettere di Berlicche “Vi sono due errori, uguali e opposti, nei quali la nostra razza può cadere nei riguardi dei Diavoli. Uno è di non credere alla loro esistenza. L'altro, di credervi, e di sentire per essi un interesse eccessivo e non sano. I Diavoli sono contenti d'ambedue gli errori e salutano con la stessa gioia il materialista e il mago”.

Ma nessuno si scoraggi. Con audacia e filiale abbandono, affidiamoci a Dio e al principe della milizia celeste, il male non prevarrà.

Sancte Michaël Arcangele, defende nos in proelio, contra nequitias et insidias diaboli esto presidium; imperet illi Deus, supplices deprecamur; tuque, princeps militiae coelestis, satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute, in infernum detrude. Amen

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia: sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo. Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli. E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina, ricaccia nell’Inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime. Amen.


Cari lettori, pazientate ancora un momento, siamo alla fine dell'articolo, non temete, e leggete quanto segue: la storia di come la Preghiera appena proposta è nata. Anch'essa sarà un toccasana per l'anima.

Il 13 ottobre 1884, al termine della celebrazione della S.Messa, Leone XIII udì una voce dal timbro gutturale e profondo che diceva: “Posso distruggere la tua Chiesa: per far questo ho bisogno di più tempo e di più potere” Il Papa udì anche una voce più aggraziata che domandava: “Quanto tempo? Quanto potere?” La voce gutturale rispose: “Dai settantacinque ai cento anni e un più grande potere su coloro che si consegnano al mio servizio”; la voce gentile replicò: “Hai il tempo...”. Profondamente turbato, Leone XIII dispose che una speciale preghiera, da lui stesso composta, venisse recitata al termine della S.Messa.