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Complici
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sabato 10 giugno 2017
mercoledì 7 giugno 2017
Lettera dal fronte: Il fatto doloroso, il concerto soporifero e la landa desolata del nulla...
Dopo
i fatti di Manchester arriva subito la reazione, “vuota”, di pop
star ormai senza cervello
E dopo la Francia ecco che arriva anche l’Inghilterra. Anche qui arrivano nuovi attentati: sempre di matrice islamica, sempre con lo stesso medesimo copione. Il copione, per intenderci, non è tanto la prassi che seguono i terroristi per i loro gesti, ma tutta la catena di reazioni che seguono dopo un ennesimo fatto contraddistinto da male e violenza. Ancora una volta si riattivano i “pray for” su Facebook (e grazie a Dio questa volta abbiamo evitato le foto con sfondo...), poi le valanghe di commenti da improvvisati intellettuali 2.0, per arrivare infine a un “volemose bene”, questa volta in grande stile. Sì, perché se l’attentato si svolge alla fine di un concerto della famosa pop star Ariana Grande, vale la pena di spendere un bel po’ di energie in più per mettere in scena un’ennesima smielata manifestazione.
Sia chiaro, sulla buona fede di Ariana Grande e colleghi nessun dubbio a riguardo! La ragazza è brava e volenterosa, ha classe e carisma da vendere e il dolore, lo shock per intenderci, lo ha avuto molto chiaro: subito si è prodigata al meglio, a cominciare dai finanziamenti fatti da lei per le famiglie delle vittime per le celebrazioni dei funerali. Una cosuccia non da poco, visto poi lo stop del tour della cantante che ha dichiarato su Twitter: «Distrutta. Dal profondo del mio cuore, mi dispiace davvero, davvero tanto. Non ho parole».
Insomma, anche lei prende il suo momento di silenzio per riflettere su quell'accaduto. Ma Ariana Grande, come tutti noi, è figlia della contemporaneità: figlia dell’informazione incontrollata, delle emozioni incontrollate e dei rapporti social, anche quelli incontrollati; come tale lei ha un certo margine di tolleranza del silenzio, della riflessione sulle cause, e quindi riparte subito all'attacco reagendo, così che il 4 giugno si svolge un altro concerto dal titolo One Love Manchester. Insieme a lei si riuniscono un bel “patibolo” di star internazionali dell'attuale palcoscenico musicale britannico e americano: da Robbie Williams a Liam Gallagher, da Justin Bieper fino a Katy Perry, “tutti uniti contro il male” con la lama “smussata” della musica e delle raccolte fondi per la Croce Rossa Britannica.
Patibolo e lama smussata, il concerto però al fin della fiera è stato questo. Patibolo, perché gli artisti che si sono esibiti sono tanto volenterosi quanto morti intellettualmente, ai limiti dei senza cervello; lama smussata, perché questo One Love Manchester ha una totale assenza di idee, di significati forti e incisivi che non stuzzicano per nulla un'ipotesi minima su quella che è la lotta tra bene e male: «il bene vince? E se sì, perché?», oppure «come si fa a vincere il male? Come si fa a non cedere al male?», e più importante ancora «dopo un fatto così (l’attentato di Manchester) da dove si riparte?».
Andiamo però per gradi. Sui cantanti viene in mente la poca credibilità che ultimamente li ha circondati: non che ci aspettassimo dei santi per carità, però Miley Cyrus che con lo stile di amichetta porcella da film come Scream e So cosa hai fatto (che poi fanno sempre una bruttissima fine tra l’altro …)che si ritrova poi a stare in atmosfere più serie fino a sentirsi spaesata e persa è veramente improponibile; Robbie Williams con i suoi ex colleghi, i Take That, non ci vuole proprio cantare, anzi fa acuti e gorgheggi epici quasi a doverli “sfottere” un’ultima volta; a Justin Bieper la barba proprio non cresce e sembra di rivedere Cristina D’Avena ai tempi dello Zecchino d’Oro (e lo stesso possiamo dire per Niall Horan); le Little Mix vestite in bianco e nero, ma sempre con le cosce di fuori e curve in bella vista; i Black Eyed Peas (senza Fergie per giunta!) si reggono a malapena in piedi, quasi a dargli le stampelle come qualunque anziano da ospizio; infine Liam Gallagher che con il fratello i ponti li ha proprio rotti, proprio non lo perdona.
Concerto sì, ma un minimo di sobrietà, anche solo per ricordare quello a cui si guardava, non era proprio fuori luogo, anzi era proprio necessaria! L’occasione la richiedeva, la circostanza la urgeva. Viene dai postumi di un fatto scioccante, un attentato, non dalle ceneri di un ennesimo “pride” a Roma. Poi però ti soffermi alle canzoni che vengono fatte e li si chiariscono le tante lacune, confusioni e incoerenze del One Love Manchester.
I Take That mettono in campo canzoni come Shine, allegra e immotivata, e la tristissima Giant. Perché triste? Perché ascoltare dei tizi che ti cantano «Eravamo giganti, fin dall'inizio/ In superficie e tutto intorno a noi / Siamo giganti, siamo forti / Ti vedo, ti vedo ballare/ Sul pavimento, nel parco/ Siamo giganti, riesci a sentirlo? /molto più grandi di quanto credevamo »,dopo la morte di 23 persone ti fa un certo senso di incoerenza con la realtà delle cose, come per esempio una nazione, l’Inghilterra, al momento impotente; oppure che infondo tutta questa forza al male, non ci sta, non esiste, se poi l’attentatore è un ragazzo di soli 22 anni...
Poi ecco Pharrell Williams con Happy e Get Lucky. La prima, cantata con Miley Cyrus, che dice «Perché sono felice / Batti le mani se ti sembra di essere una stanza senza tetto / Perché sono felice / Batti le mani se ti senti che la felicità sia la verità / Perché sono felice / Batti le mani se sai cosa è per te la felicità / Perché sono felice / Batti le mani se senti che è quello che vuoi fare». Ma cosa c’è da essere felici con 23 persone uccise? Che cosa è la decantata felicità di cui parla Pharrell? Ehh, chi lo sa? … Di certo non lo sanno i familiari delle vittime, e certamente non lo sa neanche lo stesso Pharrell, che dopo canta con Get lucky: «Come la leggenda della fenice / la nostra fine era l’inzio / Ciò che mantiene il pianeta in movimento / la forza dell’inizio». E che cosa è “la forza dell’inizio?”, e da dove vuoi rinascere? Siamo uomini e non fenici, questo andrebbe ricordato al signor Pharrell.
Arriva Robbie Williams che invece evidenzia il contrario, un negativo con la sua Strong: una canzone che mette in luce una vita disagiata e piena di confusione ed euforie, con il motivetto del “sono sempre giovane” che però si riduce ad un ritornello nichilista con tanto di libertà frustrata: «E tu sai e tu sai/ perché la mia vita è un casino/ e sto cercando di crescere prima/ di essere vecchio voglio confessarlo/ tu pensi che sono forte ma ti sbagli/ ti sbagli/ canterò la mia canzone, la mia canzone». E anche qui, ma quale è il punto? Cosa c’entra con Manchester, con quell'aggressione, con quel dolore e con l’odio di quell'attentatore? E anche qui si fanno solo che rassegnate spallucce … Poi c’è proprio l’incoerenza di fondo di alcune canzoni proprio fuori luogo, che niente hanno a che vedere con una città ferita dal fanatismo islamico. Solo per citarne una, viene in mete la Side to Side proprio di Ariana Grande, che aveva per video una sequenza di corpi sinuosi femminili che si contorcono su cyclette da palestra e in bella vista tette culo di Nicki Minaj, neanche fossimo nei vecchi film di Boldi e De Sica. E Roar di Katy Perry? Ma cosa c’entra con 23 persone uccise e 126 feriti di cui 12 sono bambini sotto i 16 anni?
Ci potremmo dilungare ore ed ore sulla desolazione di idee e proposte che le pop star hanno davanti al male. Sembra che l’unica risposta concreta all’odio sia una goliardia che rasenta il totale egocentrismo di alcuni schizofrenici. Se c’è dietro tanta e valorosa bontà d’animo, davanti però vi è la confusione di chi non ha nulla da offrire se non le utopie tipiche del sentimentalismo. Il succo di questo sta proprio alla fine del percorso di One Love Manchester, quando Ariana Grande prende il microfono e comincia a cantare Somewhere over the rainbow con i virtuosismi di una prima della classe: «Da qualche parte sopra l’arcobaleno, molto, molto in alto/ C’è un paese di cui ho sentito parlare una volta in una ninna-nanna/ Da qualche parte sopra l’arcobaleno, i cieli sono blu/ e i sogni che osi sognare, diventano realtà per davvero».La conclusione quindi, vede una ricerca di una felicità, di un paradiso ipotetico, che non sta però nella realtà, perché cercare la felicità nella realtà è “osare”. Il paradosso è che non vale la pena cercare la felicità nella realtà perché è impossibile, però è possibile nell’utopia. Forse l’unico elemento coerente del concerto è il percorso stesso che si è fatto: arrancando tra soluzioni egocentriche, bacchette magiche alla Mary Poppins che sistema la stanza in disordine, fino al nichilismo di una libertà indisciplinata si arriva proprio all’opposizione realtà – felicità, legando poi quest’ultima all’utopia di chi ha come risposta un confuso se stesso. One Love Manchester è quindi l’ennesima azione soporifera davanti ad un male che sta diventando sempre più quotidiano. Almeno per i ragazzi! I giovani, gli adolescenti sono desiderosi di messaggi forti, di pretese che ti rimettano davanti alla vita quotidiana, che sappiano scuotere la noia. La verità di tutto ciò sta paradossalmente nell’esperienza dello stesso attentatore: Salman Ramadan Abedi (questo è il nome dell’attentatore) era un ragazzo di 22 anni! Ci dovrebbe venire la paura nel pensare di che carica, anche solo emotiva nella sua follia, ha il fondamentalismo dell’Isis che riesce a persuadere un ragazzo a dare la vita uccidendone altrettante intorno a sé.
Riguardando il concerto di Manchester, non si può fare a meno di ritrovarsi nuovamente con il triste dato di fatto che esiste un’urgenza di significato a cui l’Occidente, tra artisti e intellettuali, non sa più come rispondere; un Occidente sempre più stretto tra una dilagante cultura del nulla (da lui stesso prodotta per giunta e supportata...) e la violenza persuasiva dell’Isis.
Per concludere, e vale la pena sottolinearlo alla fine, per One Love Manchester hanno partecipato anche i Coldplay, che hanno cantato Viva la vida e Fix you. Soffermiamoci un momento su questa e ascoltiamo:
«Quando le lacrime si versano sul tuo viso/ quando perdi qualcosa che non puoi rimpiazzare/ quando ami qualcuno ma tutto va perduto/ potrebbe andar peggio?/ Le luci ti guideranno a casa/ e accenderanno le tue ossa/ ed io proverò a consolarti».
Perché questa era, insieme a Viva la vida, forse la sola è più vera canzone che si poteva ascoltare questi giorni? Perché al momento è la cosa più vera che si può chiedere: da un lato il desiderio concreto di poter dare qualcosa per consolare l’altro ferito, anche se il tentativo va male (agli artisti hanno avuto comunque il merito di averci provato!); dall'altro il ricordare la presenza di un luogo, una casa, dove poter trovare la consolazione. Finché non perderemo questo, il male potrà ancora non essere l’ultima parola e il nulla non essere la nostra unica prospettiva per difenderci.
E dopo la Francia ecco che arriva anche l’Inghilterra. Anche qui arrivano nuovi attentati: sempre di matrice islamica, sempre con lo stesso medesimo copione. Il copione, per intenderci, non è tanto la prassi che seguono i terroristi per i loro gesti, ma tutta la catena di reazioni che seguono dopo un ennesimo fatto contraddistinto da male e violenza. Ancora una volta si riattivano i “pray for” su Facebook (e grazie a Dio questa volta abbiamo evitato le foto con sfondo...), poi le valanghe di commenti da improvvisati intellettuali 2.0, per arrivare infine a un “volemose bene”, questa volta in grande stile. Sì, perché se l’attentato si svolge alla fine di un concerto della famosa pop star Ariana Grande, vale la pena di spendere un bel po’ di energie in più per mettere in scena un’ennesima smielata manifestazione.
Sia chiaro, sulla buona fede di Ariana Grande e colleghi nessun dubbio a riguardo! La ragazza è brava e volenterosa, ha classe e carisma da vendere e il dolore, lo shock per intenderci, lo ha avuto molto chiaro: subito si è prodigata al meglio, a cominciare dai finanziamenti fatti da lei per le famiglie delle vittime per le celebrazioni dei funerali. Una cosuccia non da poco, visto poi lo stop del tour della cantante che ha dichiarato su Twitter: «Distrutta. Dal profondo del mio cuore, mi dispiace davvero, davvero tanto. Non ho parole».
Insomma, anche lei prende il suo momento di silenzio per riflettere su quell'accaduto. Ma Ariana Grande, come tutti noi, è figlia della contemporaneità: figlia dell’informazione incontrollata, delle emozioni incontrollate e dei rapporti social, anche quelli incontrollati; come tale lei ha un certo margine di tolleranza del silenzio, della riflessione sulle cause, e quindi riparte subito all'attacco reagendo, così che il 4 giugno si svolge un altro concerto dal titolo One Love Manchester. Insieme a lei si riuniscono un bel “patibolo” di star internazionali dell'attuale palcoscenico musicale britannico e americano: da Robbie Williams a Liam Gallagher, da Justin Bieper fino a Katy Perry, “tutti uniti contro il male” con la lama “smussata” della musica e delle raccolte fondi per la Croce Rossa Britannica.
Patibolo e lama smussata, il concerto però al fin della fiera è stato questo. Patibolo, perché gli artisti che si sono esibiti sono tanto volenterosi quanto morti intellettualmente, ai limiti dei senza cervello; lama smussata, perché questo One Love Manchester ha una totale assenza di idee, di significati forti e incisivi che non stuzzicano per nulla un'ipotesi minima su quella che è la lotta tra bene e male: «il bene vince? E se sì, perché?», oppure «come si fa a vincere il male? Come si fa a non cedere al male?», e più importante ancora «dopo un fatto così (l’attentato di Manchester) da dove si riparte?».
Andiamo però per gradi. Sui cantanti viene in mente la poca credibilità che ultimamente li ha circondati: non che ci aspettassimo dei santi per carità, però Miley Cyrus che con lo stile di amichetta porcella da film come Scream e So cosa hai fatto (che poi fanno sempre una bruttissima fine tra l’altro …)che si ritrova poi a stare in atmosfere più serie fino a sentirsi spaesata e persa è veramente improponibile; Robbie Williams con i suoi ex colleghi, i Take That, non ci vuole proprio cantare, anzi fa acuti e gorgheggi epici quasi a doverli “sfottere” un’ultima volta; a Justin Bieper la barba proprio non cresce e sembra di rivedere Cristina D’Avena ai tempi dello Zecchino d’Oro (e lo stesso possiamo dire per Niall Horan); le Little Mix vestite in bianco e nero, ma sempre con le cosce di fuori e curve in bella vista; i Black Eyed Peas (senza Fergie per giunta!) si reggono a malapena in piedi, quasi a dargli le stampelle come qualunque anziano da ospizio; infine Liam Gallagher che con il fratello i ponti li ha proprio rotti, proprio non lo perdona.
Concerto sì, ma un minimo di sobrietà, anche solo per ricordare quello a cui si guardava, non era proprio fuori luogo, anzi era proprio necessaria! L’occasione la richiedeva, la circostanza la urgeva. Viene dai postumi di un fatto scioccante, un attentato, non dalle ceneri di un ennesimo “pride” a Roma. Poi però ti soffermi alle canzoni che vengono fatte e li si chiariscono le tante lacune, confusioni e incoerenze del One Love Manchester.
I Take That mettono in campo canzoni come Shine, allegra e immotivata, e la tristissima Giant. Perché triste? Perché ascoltare dei tizi che ti cantano «Eravamo giganti, fin dall'inizio/ In superficie e tutto intorno a noi / Siamo giganti, siamo forti / Ti vedo, ti vedo ballare/ Sul pavimento, nel parco/ Siamo giganti, riesci a sentirlo? /molto più grandi di quanto credevamo »,dopo la morte di 23 persone ti fa un certo senso di incoerenza con la realtà delle cose, come per esempio una nazione, l’Inghilterra, al momento impotente; oppure che infondo tutta questa forza al male, non ci sta, non esiste, se poi l’attentatore è un ragazzo di soli 22 anni...
Poi ecco Pharrell Williams con Happy e Get Lucky. La prima, cantata con Miley Cyrus, che dice «Perché sono felice / Batti le mani se ti sembra di essere una stanza senza tetto / Perché sono felice / Batti le mani se ti senti che la felicità sia la verità / Perché sono felice / Batti le mani se sai cosa è per te la felicità / Perché sono felice / Batti le mani se senti che è quello che vuoi fare». Ma cosa c’è da essere felici con 23 persone uccise? Che cosa è la decantata felicità di cui parla Pharrell? Ehh, chi lo sa? … Di certo non lo sanno i familiari delle vittime, e certamente non lo sa neanche lo stesso Pharrell, che dopo canta con Get lucky: «Come la leggenda della fenice / la nostra fine era l’inzio / Ciò che mantiene il pianeta in movimento / la forza dell’inizio». E che cosa è “la forza dell’inizio?”, e da dove vuoi rinascere? Siamo uomini e non fenici, questo andrebbe ricordato al signor Pharrell.
Arriva Robbie Williams che invece evidenzia il contrario, un negativo con la sua Strong: una canzone che mette in luce una vita disagiata e piena di confusione ed euforie, con il motivetto del “sono sempre giovane” che però si riduce ad un ritornello nichilista con tanto di libertà frustrata: «E tu sai e tu sai/ perché la mia vita è un casino/ e sto cercando di crescere prima/ di essere vecchio voglio confessarlo/ tu pensi che sono forte ma ti sbagli/ ti sbagli/ canterò la mia canzone, la mia canzone». E anche qui, ma quale è il punto? Cosa c’entra con Manchester, con quell'aggressione, con quel dolore e con l’odio di quell'attentatore? E anche qui si fanno solo che rassegnate spallucce … Poi c’è proprio l’incoerenza di fondo di alcune canzoni proprio fuori luogo, che niente hanno a che vedere con una città ferita dal fanatismo islamico. Solo per citarne una, viene in mete la Side to Side proprio di Ariana Grande, che aveva per video una sequenza di corpi sinuosi femminili che si contorcono su cyclette da palestra e in bella vista tette culo di Nicki Minaj, neanche fossimo nei vecchi film di Boldi e De Sica. E Roar di Katy Perry? Ma cosa c’entra con 23 persone uccise e 126 feriti di cui 12 sono bambini sotto i 16 anni?
Ci potremmo dilungare ore ed ore sulla desolazione di idee e proposte che le pop star hanno davanti al male. Sembra che l’unica risposta concreta all’odio sia una goliardia che rasenta il totale egocentrismo di alcuni schizofrenici. Se c’è dietro tanta e valorosa bontà d’animo, davanti però vi è la confusione di chi non ha nulla da offrire se non le utopie tipiche del sentimentalismo. Il succo di questo sta proprio alla fine del percorso di One Love Manchester, quando Ariana Grande prende il microfono e comincia a cantare Somewhere over the rainbow con i virtuosismi di una prima della classe: «Da qualche parte sopra l’arcobaleno, molto, molto in alto/ C’è un paese di cui ho sentito parlare una volta in una ninna-nanna/ Da qualche parte sopra l’arcobaleno, i cieli sono blu/ e i sogni che osi sognare, diventano realtà per davvero».La conclusione quindi, vede una ricerca di una felicità, di un paradiso ipotetico, che non sta però nella realtà, perché cercare la felicità nella realtà è “osare”. Il paradosso è che non vale la pena cercare la felicità nella realtà perché è impossibile, però è possibile nell’utopia. Forse l’unico elemento coerente del concerto è il percorso stesso che si è fatto: arrancando tra soluzioni egocentriche, bacchette magiche alla Mary Poppins che sistema la stanza in disordine, fino al nichilismo di una libertà indisciplinata si arriva proprio all’opposizione realtà – felicità, legando poi quest’ultima all’utopia di chi ha come risposta un confuso se stesso. One Love Manchester è quindi l’ennesima azione soporifera davanti ad un male che sta diventando sempre più quotidiano. Almeno per i ragazzi! I giovani, gli adolescenti sono desiderosi di messaggi forti, di pretese che ti rimettano davanti alla vita quotidiana, che sappiano scuotere la noia. La verità di tutto ciò sta paradossalmente nell’esperienza dello stesso attentatore: Salman Ramadan Abedi (questo è il nome dell’attentatore) era un ragazzo di 22 anni! Ci dovrebbe venire la paura nel pensare di che carica, anche solo emotiva nella sua follia, ha il fondamentalismo dell’Isis che riesce a persuadere un ragazzo a dare la vita uccidendone altrettante intorno a sé.
Riguardando il concerto di Manchester, non si può fare a meno di ritrovarsi nuovamente con il triste dato di fatto che esiste un’urgenza di significato a cui l’Occidente, tra artisti e intellettuali, non sa più come rispondere; un Occidente sempre più stretto tra una dilagante cultura del nulla (da lui stesso prodotta per giunta e supportata...) e la violenza persuasiva dell’Isis.
Per concludere, e vale la pena sottolinearlo alla fine, per One Love Manchester hanno partecipato anche i Coldplay, che hanno cantato Viva la vida e Fix you. Soffermiamoci un momento su questa e ascoltiamo:
«Quando le lacrime si versano sul tuo viso/ quando perdi qualcosa che non puoi rimpiazzare/ quando ami qualcuno ma tutto va perduto/ potrebbe andar peggio?/ Le luci ti guideranno a casa/ e accenderanno le tue ossa/ ed io proverò a consolarti».
Perché questa era, insieme a Viva la vida, forse la sola è più vera canzone che si poteva ascoltare questi giorni? Perché al momento è la cosa più vera che si può chiedere: da un lato il desiderio concreto di poter dare qualcosa per consolare l’altro ferito, anche se il tentativo va male (agli artisti hanno avuto comunque il merito di averci provato!); dall'altro il ricordare la presenza di un luogo, una casa, dove poter trovare la consolazione. Finché non perderemo questo, il male potrà ancora non essere l’ultima parola e il nulla non essere la nostra unica prospettiva per difenderci.
Antonello Di Nunno
Obice: Tolti tutti i muri, resta solo l'ONU delle religioni
«Oggi è indispensabile trovare una prossimità che unisce i diversi per edificare una unità di disegno o una unità che abbracci tutti […] Contro i muri, Marco [Pannella] è figura che parla di universalità, libertà per la costruzione, speranza in un mondo che si ricomponga». Sono le parole di Emma Bonino, di Roberto Giachetti? No, sono le parole che monsignor Vincenzo Paglia ha usato qualche tempo fa, durante il programma di Radio Radicale dedicato alla presentazione del libro “Marco Pannella una libertà felice”.
La retorica dell'"abbattere tutti i muri" non poteva trovare un punto più alto di questo: mons Paglia, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita celebra Marco Pannella, l'incarnazione stessa dell'aborto e dell'eutanasia in Italia.
Frutto di un trasbordo ideologico inavvertito, oppure, scelta consapevole di una direzione ben precisa? La seconda opzione sembra la più convincente. Del resto, non è la prima volta che monsignor Paglia lascia spazio a parole e comportamenti poco ortodossi. Si pensi, ad esempio, all'opera che commissionò in qualità di vescovo per il Duomo di Terni, nel 2007: “La risurrezione con gay trans ladri spacciatori”, quadro di un pittore argentino che dimentica totalmente che non sono gli stili di vita ad andare in Paradiso, ma le persone (meritevoli). Chissà dov'era riposto il Catechismo della Chiesa cattolica... forse sotto la gamba di un tavolo, o di un letto.
Vediamo in sintesi allora quale sia la “santità” di Pannella. Le sue battaglie principali sono state: aborto, liberalizzazione delle droghe, eutanasia, sperimentazione su embrioni di uomo, divorzio, libertà sessuale. Solo con l'aborto, le idee e le azioni di Pannella hanno innescato la morte di circa sette milioni di italiani, lasciando il nostro paese in balìa di una crisi demografica quasi fatale (che, ora, con lacrime di coccodrillo la radicale Emma Bonino lamenta come emergenza nazionale…).
Dunque, non è stato l'uomo della conquista dei diritti, del passo in avanti dell'umanità. Al contrario, è stato colui che negandoli, ci ha fatto tornare indietro, al tempo della “rupe Tarpea”, giacché ha contribuito a far sopprimere in modo legale quei “non ancora nati” che avevano i diritti della persona già nel diritto romano. Giacinto Pannella non ha solo vinto dal punto di vista legislativo (nonostante il partito sia sempre rimasto minoranza), ma ha anche fatto fare progressi a quel “pensiero unico” (orwelliano, gnostico) che spinge, un po’ in tutto il mondo, in una direzione ben precisa. Ora capite perché chi scrive ha usato parole forti contro il monsignore.
Ma infine, dove porta questo abbattimento di tutti i muri, compresi quelli verso idee che si pongono esplicitamente contro la dignità infinita della persona umana, che la Chiesa proclama?
Sinteticamente, alla creazione di una sorta di Onu delle religioni e dell'umanità. Questa distopìa chiede ai popoli, alle culture e alle religioni di fondersi, rinunciando alle proprie identità, per poter diventare una cosa sola. E alla Chiesa soprattutto è chiesto di non annunciare più Cristo ma i valori umani comuni. Perciò, i tanti Kasper, Hans Kung, Vito Mancuso, araldi di questa nuova prospettiva, parlano – è vero - di Gesù però alla fine come qualcosa di “superato”, un passaggio verso una grande mescolanza di tutte le religioni e gli ideali in nome di una non precisata “umanità”. Insomma, è alto il rischio di costruire una “contro-chiesa”, o “scimmia di Dio”, come la definiva l'arcivescovo americano Fulton John Sheen.
Oggi tale deriva antropologica e teologica accelera il passo in Europa e negli Stati Uniti anche perché trova terreno fertile in un popolo, cattolico e non, sempre più intorpidito dalla potente propaganda dei media mainstream. A causa di ciò, si crede che, per andare d’accordo, in pratica occorra tacere su tutto, perché la dialettica porterebbe all'odio e quindi alla guerra. Ovviamente, segno di civiltà non è tacere, ma il parlare liberamente tra uomini e donne di quello che rende la vita umana più bella e buona: la Verità. I cattolici in particolare devono cogliere questa occasione per testimoniare Cristo.
Il grande scrittore inglese Chesterton scrisse in un articolo nel 1936, pochi mesi prima della morte, un giudizio sul pacifismo, che in realtà vale per tutto, totalmente applicabile ai nostri tempi: «Vi è una strampalata ipotesi che oggi si va consolidando nella mente di molti e che non ha nulla a che vedere con il concetto filosofico del pacifismo… È l'idea che la mancanza di lotta in quanto tale impedirebbe ad altri di combattere o di impadronirsi, senza colpo ferire, di quanto essi volessero. [...] gli uomini sembrano essersi messi in capo la strana idea che in tutte le circostanze immaginabili potrebbero conservare tutte le proprie cose esclusivamente e unicamente rifiutando di difenderle. Sembra persino che sarebbero capaci di metter fine… a tutto il regno della violenza e dell’orgoglio semplicemente non facendo nulla. Ma sarà bene per tutti se tutti abbandoneranno tale illusione».
È vero, Cristo abbraccia tutto l’uomo e tutti gli uomini (che accettano il suo abbraccio). Ma lo fa proprio perché c’è una differenza infinita tra Lui e l’uomo: la stessa differenza che passa tra l’Amore Infinito e la debolezza di ogni creatura (compresi me, Pannella e te che stai leggendo). Insomma, tra l’amicizia di Cristo e quella di Marco Pannella c’è una bella differenza, un grande e solido muro, che, a ben guardare, è il caso di lasciare dov'è.
La retorica dell'"abbattere tutti i muri" non poteva trovare un punto più alto di questo: mons Paglia, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita celebra Marco Pannella, l'incarnazione stessa dell'aborto e dell'eutanasia in Italia.
Frutto di un trasbordo ideologico inavvertito, oppure, scelta consapevole di una direzione ben precisa? La seconda opzione sembra la più convincente. Del resto, non è la prima volta che monsignor Paglia lascia spazio a parole e comportamenti poco ortodossi. Si pensi, ad esempio, all'opera che commissionò in qualità di vescovo per il Duomo di Terni, nel 2007: “La risurrezione con gay trans ladri spacciatori”, quadro di un pittore argentino che dimentica totalmente che non sono gli stili di vita ad andare in Paradiso, ma le persone (meritevoli). Chissà dov'era riposto il Catechismo della Chiesa cattolica... forse sotto la gamba di un tavolo, o di un letto.
Vediamo in sintesi allora quale sia la “santità” di Pannella. Le sue battaglie principali sono state: aborto, liberalizzazione delle droghe, eutanasia, sperimentazione su embrioni di uomo, divorzio, libertà sessuale. Solo con l'aborto, le idee e le azioni di Pannella hanno innescato la morte di circa sette milioni di italiani, lasciando il nostro paese in balìa di una crisi demografica quasi fatale (che, ora, con lacrime di coccodrillo la radicale Emma Bonino lamenta come emergenza nazionale…).
Dunque, non è stato l'uomo della conquista dei diritti, del passo in avanti dell'umanità. Al contrario, è stato colui che negandoli, ci ha fatto tornare indietro, al tempo della “rupe Tarpea”, giacché ha contribuito a far sopprimere in modo legale quei “non ancora nati” che avevano i diritti della persona già nel diritto romano. Giacinto Pannella non ha solo vinto dal punto di vista legislativo (nonostante il partito sia sempre rimasto minoranza), ma ha anche fatto fare progressi a quel “pensiero unico” (orwelliano, gnostico) che spinge, un po’ in tutto il mondo, in una direzione ben precisa. Ora capite perché chi scrive ha usato parole forti contro il monsignore.
Ma infine, dove porta questo abbattimento di tutti i muri, compresi quelli verso idee che si pongono esplicitamente contro la dignità infinita della persona umana, che la Chiesa proclama?
Sinteticamente, alla creazione di una sorta di Onu delle religioni e dell'umanità. Questa distopìa chiede ai popoli, alle culture e alle religioni di fondersi, rinunciando alle proprie identità, per poter diventare una cosa sola. E alla Chiesa soprattutto è chiesto di non annunciare più Cristo ma i valori umani comuni. Perciò, i tanti Kasper, Hans Kung, Vito Mancuso, araldi di questa nuova prospettiva, parlano – è vero - di Gesù però alla fine come qualcosa di “superato”, un passaggio verso una grande mescolanza di tutte le religioni e gli ideali in nome di una non precisata “umanità”. Insomma, è alto il rischio di costruire una “contro-chiesa”, o “scimmia di Dio”, come la definiva l'arcivescovo americano Fulton John Sheen.
Oggi tale deriva antropologica e teologica accelera il passo in Europa e negli Stati Uniti anche perché trova terreno fertile in un popolo, cattolico e non, sempre più intorpidito dalla potente propaganda dei media mainstream. A causa di ciò, si crede che, per andare d’accordo, in pratica occorra tacere su tutto, perché la dialettica porterebbe all'odio e quindi alla guerra. Ovviamente, segno di civiltà non è tacere, ma il parlare liberamente tra uomini e donne di quello che rende la vita umana più bella e buona: la Verità. I cattolici in particolare devono cogliere questa occasione per testimoniare Cristo.
Il grande scrittore inglese Chesterton scrisse in un articolo nel 1936, pochi mesi prima della morte, un giudizio sul pacifismo, che in realtà vale per tutto, totalmente applicabile ai nostri tempi: «Vi è una strampalata ipotesi che oggi si va consolidando nella mente di molti e che non ha nulla a che vedere con il concetto filosofico del pacifismo… È l'idea che la mancanza di lotta in quanto tale impedirebbe ad altri di combattere o di impadronirsi, senza colpo ferire, di quanto essi volessero. [...] gli uomini sembrano essersi messi in capo la strana idea che in tutte le circostanze immaginabili potrebbero conservare tutte le proprie cose esclusivamente e unicamente rifiutando di difenderle. Sembra persino che sarebbero capaci di metter fine… a tutto il regno della violenza e dell’orgoglio semplicemente non facendo nulla. Ma sarà bene per tutti se tutti abbandoneranno tale illusione».
È vero, Cristo abbraccia tutto l’uomo e tutti gli uomini (che accettano il suo abbraccio). Ma lo fa proprio perché c’è una differenza infinita tra Lui e l’uomo: la stessa differenza che passa tra l’Amore Infinito e la debolezza di ogni creatura (compresi me, Pannella e te che stai leggendo). Insomma, tra l’amicizia di Cristo e quella di Marco Pannella c’è una bella differenza, un grande e solido muro, che, a ben guardare, è il caso di lasciare dov'è.
lunedì 5 giugno 2017
Lettera dal fronte: Marcia per la Vita: Il mondo ha perso
Il
20 maggio scorso si è svolta a Roma la VII Marcia nazionale per
Vita, che ha sfilato da Piazza della Repubblica fino a Piazza
Venezia: giunti davanti all'Altare della Patria tutti i partecipanti
hanno ascoltato le testimonianze di uomini e donne che con la loro
esperienza di vita si mettono in gioco personalmente e
quotidianamente per difendere quella degli altri, altri che non hanno
voce come i bambini non nati. In altre sedi si è scritto per filo e
per segno come si è svolta la giornata, per cui anziché fare
l’ennesimo resoconto, si vuole proporre una riflessione a riguardo.
Viviamo in tempi assurdi, in cui è diventato difficile poter parlare di cose semplici fino a pochi anni fa evidenti: quando un concetto elementare come quello di rispetto della vita umana deve essere difeso così strenuamente vuol dire che in un qualche momento della storia il mondo ha perso. Quando non è più un fatto istintivo, naturale e ovvio proteggere un bimbo nel grembo della madre, il mondo ha perso. Ha perso il significato che si deve dare alla Vita, il valore profondo dell’esistenza di ognuno che va al di là di quanto può essere calcolato esternamente. Oggigiorno sentiamo ripetere ovunque che se una donna rimane incinta in seguito a uno stupro deve avere il diritto di uccidere suo figlio; se una donna sa che suo bimbo nascerà menomato, o con qualche possibilità che sia malato, deve avere il diritto di non farlo nascere affatto; se una donna non è pronta a prendersi la responsabilità di una nuova vita deve avere il diritto di disfarsi di quel peso. I pro-choice fanno un gran parlare di libertà di scelta, ma dimenticano un piccolo sebbene cruciale dettaglio: la vita della quale si discute non è quella della donna, ma del bambino, e nessuno può sapere che cosa lui o lei vorrà farne finché non nascerà e non imparerà quantomeno a parlare. La libertà di scelta del bambino non viene minimamente calcolata.
Fortunatamente c’è chi si batte per ricordare alle coscienze tutto questo, per smuovere gli animi e riaccendere il sano desiderio della Vita, ed è quello che fanno coloro che marciano ogni anno sotto il sole e la pioggia sacrificando tempo, denaro e fatica. E non si tratta solo di uomini e donne adulti o anziani (come spesso si pensa o si sente dire), ma anche di giovani, che si spendono per organizzare, informare e partecipare con entusiasmo, l’entusiasmo proprio di chi ha speranza e voglia di costruirsi un futuro in una società che non voglia uccidere se stessa. Far credere di essere soli contro tutti è una strategia infida per minare la determinazione di chi prende una posizione. Con eventi come questo della Marcia, però, possiamo benissimo renderci conto che non siamo soli, non siamo pochi, non siamo deboli, e possiamo cambiare le cose in modo positivo e, nonostante tutto, sempre con il sorriso sulle labbra. La particolarità di tutte le persone che hanno sfilato è la loro allegria, la stessa allegria che vediamo in ogni bambino che viene al mondo.
Viviamo in tempi assurdi, in cui è diventato difficile poter parlare di cose semplici fino a pochi anni fa evidenti: quando un concetto elementare come quello di rispetto della vita umana deve essere difeso così strenuamente vuol dire che in un qualche momento della storia il mondo ha perso. Quando non è più un fatto istintivo, naturale e ovvio proteggere un bimbo nel grembo della madre, il mondo ha perso. Ha perso il significato che si deve dare alla Vita, il valore profondo dell’esistenza di ognuno che va al di là di quanto può essere calcolato esternamente. Oggigiorno sentiamo ripetere ovunque che se una donna rimane incinta in seguito a uno stupro deve avere il diritto di uccidere suo figlio; se una donna sa che suo bimbo nascerà menomato, o con qualche possibilità che sia malato, deve avere il diritto di non farlo nascere affatto; se una donna non è pronta a prendersi la responsabilità di una nuova vita deve avere il diritto di disfarsi di quel peso. I pro-choice fanno un gran parlare di libertà di scelta, ma dimenticano un piccolo sebbene cruciale dettaglio: la vita della quale si discute non è quella della donna, ma del bambino, e nessuno può sapere che cosa lui o lei vorrà farne finché non nascerà e non imparerà quantomeno a parlare. La libertà di scelta del bambino non viene minimamente calcolata.
Fortunatamente c’è chi si batte per ricordare alle coscienze tutto questo, per smuovere gli animi e riaccendere il sano desiderio della Vita, ed è quello che fanno coloro che marciano ogni anno sotto il sole e la pioggia sacrificando tempo, denaro e fatica. E non si tratta solo di uomini e donne adulti o anziani (come spesso si pensa o si sente dire), ma anche di giovani, che si spendono per organizzare, informare e partecipare con entusiasmo, l’entusiasmo proprio di chi ha speranza e voglia di costruirsi un futuro in una società che non voglia uccidere se stessa. Far credere di essere soli contro tutti è una strategia infida per minare la determinazione di chi prende una posizione. Con eventi come questo della Marcia, però, possiamo benissimo renderci conto che non siamo soli, non siamo pochi, non siamo deboli, e possiamo cambiare le cose in modo positivo e, nonostante tutto, sempre con il sorriso sulle labbra. La particolarità di tutte le persone che hanno sfilato è la loro allegria, la stessa allegria che vediamo in ogni bambino che viene al mondo.
Anna
Fagiolo
Lettera dal fronte: «La gloria di Dio è l’uomo vivente»: considerazioni teologiche sulla cultura della vita/03
Terzo
appuntamento della nostra piccola rubrica di riflessione teologica
sulla cultura della vita e la cultura della morte.
Attenzione:
gli articoli contengono argomenti ed espressioni tipicamente
cattolici =)
Strano ma vero, ancora oggi si parla di vocazione solamente intendendo la scelta di consacrarsi totalmente, in corpo ed anima, al Signore seguendo la via dei consigli evangelici: in un'epoca come la nostra, dominata dal rifiuto del sacro, è difficile spiegare finanche ai cattolici che esistono strade, la vita consacrata e la vita matrimoniale, per compiere il progetto che Iddio ha su ognuno dei suoi figli e che entrambe siano delle vocazioni, legittime-vere-valide, cui tutti sono chiamati. Per paradossale che possa sembrare, infatti, il secolarismo non ha fatto altro che rafforzare l'immagine del consacrato sebbene ammantato – è innegabile! – di buonismo e filantropia che poco hanno a che fare con la vita religiosa mentre ha segregato nell'intimità della casa il matrimonio che assume una rilevanza pubblica solo se rapportato al denaro: le statistiche economiche si basano sul ruolo contributivo/consumistico delle famiglie; i matrimoni di cui si parla in lungo e largo sono solamente quelli dei cosiddetti vip perché sono sfarzosi; etc.
Santa Madre Chiesa, invece, non la pensa così e – poiché Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre – non ha mai1 professato cose di questo genere sebbene in determinati momenti della sua storia i pastori ed i santi abbiano prediletto un approccio pastorale più orientato alla vocazione religiosa intesa sia come seme che deve fiorire (legislazione sui Seminari, obbligo della formazione, etc) sia come richiesta incessante da fare al Padre per avere sempre più consacrati che testimonino la nostalgia che ogni anima prova per il cielo e la superiorità della sfera spirituale2 su quella materiale (pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe): è doveroso osservare, tuttavia, che se in questi periodi la Chiesa sembrava tacere, il popolo sapeva agire e si prodigava per creare sempre più famiglie (frutto dei matrimoni ovviamente) per poter proseguire, cooperando con Dio stesso, all'opera continua della creazione e per poter donare quanti più figli alla Chiesa sia con il battesimo sia con il permesso a consacrarsi. È emblematica al riguardo la figura di San Tommaso Moro che accettò il ludibrio pubblico, il carcere ed il martirio pur di non accettare il fatto che il suo Sovrano, Enrico VIII d'Inghilterra, divorziasse da sua moglie per potersi unire con Anna Bolena, sua celebre amante.
A riprova del fatto che esistano due vocazioni, e non solamente una, è sufficiente leggere le Sacre Scritture senza alcun preconcetto, oltre che nella loro interezza (senza cioè contrapporre un Libro ad un altro, ma mettendoci umilmente alla scuola dello Spirito Santo, autore di tutta la Scrittura) e guardare alla storia bimillenaria della Chiesa che ha sempre difeso sia la vocazione alla vita consacrata che quella matrimoniale. Anche in questo caso, come per la creazione, tutto ha inizio nel Giardino e nella condizione di pre-peccato originale: è lo stesso Dio, infatti, che unisce in matrimonio Adamo ed Eva, cui affida logicamente, come frutto della donazione reciproca tra gli sposi, la cooperazione nella generazione degli uomini. Sebbene non si possa ancora parlare propriamente di un Sacramento, è innegabile il carattere sacro dell'unione tra i Progenitori in quanto sono legati nel vincolo da Dio stesso (o, quantomeno, alla sua presenza) il quale, come già avvenuto nella creazione, benedice e loda il vincolo che si crea. Ma c'è di più in quanto, come sottolineato da alcuni autori3, meriterebbe maggiore attenzione il fatto che il matrimonio sia stato il primo sacramento istituito, vieppiù in una condizione di perfezione di tutta la creazione, cioè prima del peccato originale, e che si sia realizzato alla presenza di Dio stesso, senza mediazione o rappresentanza alcuna da parte di soggetti terzi.
L'Antico Testamento è pieno di esempi di coppie, come anche del racconto di sposalizi e unioni reciproche tra i coniugi sebbene il progetto iniziale di Dio (cioè la reciproca donazione di una sola donna con un solo uomo, che pur essendo due, formano una sola cosa) era stata abbandonato permettendo, per la durezza del cuore degli uomini, il divorzio ma anche il concubinato e la poligamia. Poiché Dio, tuttavia, ha deciso per un suo atto di amore di redimere l'umanità – non lasciando così nulla di imperfetto o di incompleto – l'opera redentrice del Verbo Incarnato ha riportato alla pienezza il matrimonio e l'unione tra i coniugi e – giacché la grazia nulla toglie ma tutto porta a perfezione – l'ha elevato a Sacramento, istituendolo all'inizio della sua predicazione, vale a dire in Cana di Galilea, dove ebbe inizio la sua manifestazione per mezzo del celebre miracolo dell'acqua tramutata in vino: il matrimonio-sacramento istituito da Cristo infatti è il vino buono che fa abbandonare il vino meno buono quale era diventato quello dell'Antica Alleanza, ormai corrotto dalla legge che cercava di assecondare più i desideri della carne degli uomini piuttosto che cercare la gloria di Dio ed il suo Regno. Non è certo un caso che Cristo, il quale ha fatto bene ogni cosa4, abbia istituito il matrimonio-sacramento all'inizio del suo ministero pubblico in quanto esso è segno efficace del continuo amore che Iddio ha nei confronti dei suoi figli5 cui, dopo la creazione (di per sé un atto di amore) e la caduta, ha inviato prima il Figlio Redentore e poi lo Spirito Santo Paraclito affinché potessero essere perfetti come è perfetto il loro Padre Celeste. Cristo, infatti, nella sua opera di santificazione del mondo, ha amato profondamente la Chiesa, sua Mistica Sposa, donando tutto se stesso fino all'effusione del sangue: nell'amore tra Cristo e la Chiesa, infatti, si compiono i segni del matrimonio quali l'indissolubilità (sarò sempre con voi fino alla fine del mondo), l'unicità (ti ho amato di un amore eterno, ti ho chiamato per nome) e la donazione completa (io sono il Buon Pastore, il Buon Pastore da la vita per le pecore). La Chiesa, cioè la Sposa di Cristo, ancora oggi celebra questo mistero nella liturgia del matrimonio come avviene, ad esempio, nella proclamazione dei versetti versetti allelujatici che ricorda ai tutti noi che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per Lei: grande è questo mistero»: solamente alla luce dell'amore tra Cristo e la Chiesa, infatti, si può capire il profondo legame che si crea tra i coniugi dopo il fatidico “si, lo voglio” i quali possono trovare in Cristo e nella sua Passione-Morte-Resurrezione l'esempio e la forza6 per potere essere santi.
Ma c'è (sempre) di più in quanto – e non smetteremo mai di ricordarlo – la grazia nulla toglie ma tutto eleva: la famiglia, intesa come unione tra un uomo e una donna legittimamente uniti in matrimonio, era stata già santificata prima delle Nozze di Cana dal Verbo Incarnato che ha deciso, per una libera scelta di Dio, di nascere all'interno di una coppia unita in matrimonio, vale a dire la Santa Famiglia di Nazareth7.
Inoltre, se il matrimonio è segno dell'amore tra Cristo e la sua Chiesa, vuol dire che esso è per sua natura, e non per una legge positiva degli uomini, indissolubile (segno del fatto che Dio non rinnega la sua Alleanza), orientato alla procreazione (segno del fatto che Cristo ha conquistato le anime di noi peccatori per donarle al Padre, facendo di tutti noi una stirpe eletta ed ha inviato i suoi discepoli in tutto il mondo ad aumentare il numero dei salvati), rivolto alla santificazione reciproca tra i coniugi (segno dell'opera continua di santificazione operata dallo Spirito Santo): la dignità degli uomini e dei coniugi è talmente elevata nel matrimonio-sacramento che, contrariamente a quanto si pensa oggi, i nubendi, anche in virtù del loro sacerdozio comune, sono i celebranti del Matrimonio, ed il Ministro Ordinato è semplicemente il testimone dinanzi a Dio dell'avvenuta donazione tra gli sposi, celebrando in seguito l'Eucarestia che, in casi particolari, com'è noto, potrebbe anche non essere presente nella celebrazione del Matrimonio.
Poiché, inoltre, la sfera spirituale è superiore a quella materiale, complice anche la morte della Legge antica, il matrimonio cristiano potrebbe esistere anche qualora i coniugi, purché d'accordo tra di loro, decidano di unirsi pur vivendo in castità: ci troviamo dinanzi ai cosiddetti matrimoni giuseppini (chiamati così in onore di San Giuseppe) tra cui sono annoverati, accanto alla Santa Famiglia, innumerevoli e grandi Santi, tra cui il Beato Bartolo Longo e Santa Cecilia con suo marito San Valeriano8. Le circostanze della vita infatti potrebbero comportare l'obbligo del matrimonio ad alcune persone (in caso di persecuzione religiosa, perdita della vocazione religiosa, necessità di assicurare la stabilità ad un Regno, problemi ad entrare in una determinata congregazione, etc) le quali tuttavia possono liberamente scegliere se concedersi reciprocamente l'un l'altro nel corpo oltre che nell'anima, vivendo come fratelli e sorelle.
Dovrebbe venirci la pelle d'oca al solo pensiero che la Sacra Scrittura ed il Magistero utilizzino il termine conoscere per parlare del legittimo, e sempre consenziente, rapporto sessuale tra un uomo ed una donna: non solo oggi si nega il carattere sacro del rapporto ma non si parla più neanche del profondo grado di intimità della donazione reciproca: donazione che – attenzione! – è anche carnale e prevede un vero e proprio rapporto e scambio tra i corpi dei coniugi i quali, così, si congiungono mostrando l'unità dell'essere umano che vediamo abitualmente diviso in maschi e femmine. Uomini e donne infatti sono tra loro complementari, l'uno aperto all'aperto, come è anche evidente studiando l'anatomia dei corpi9: ci deve essere dono, tuttavia, per non cadere nella lussuria che potremmo anche vedere, da un certo punto di vista, come un'applicazione al piano sessuale della superbia e della prevaricazione10. Il rapporto coniugale, inoltre, è talmente sublime in questo senso che è possibile, se non doveroso, un'unione carnale anche in caso di sterilità: i coniugi infatti devono essere aperti alla vita, non obbligati a darla. Ed apertura significa anche affidarsi al Signore, come Elisabetta e Zaccaria, oppure rivolgersi, se possibile, all'adozione: non significa come si intende oggigiorno che non si possa avere un felice matrimonio in mancanza di prole, andando alla ricerca o di un partner fisicamente idoneo (scaricando quello sbagliato ovviamente) oppure ricorrendo a pratiche che snaturano l'intimità del rapporto sessuale legittimo11. Similmente, il fatto che il matrimonio sia orientato alla procreazione non vuole dire che i coniugi (il marito soprattutto) siano tenuti alla ricerca spasmodica di quanti più figli cercando piuttosto un equilibrio tra le condizioni socio economiche familiari e quelle fisiche dei coniugi: essi non devono né chiudersi all'egoismo né ritenere di poter avere un numero illimitato di figli se non possono prendersi cura di loro (e per prendersi cura la Chiesa intende sia da un punto di vista spirituale che materiale: è ovvio che non si possano fare figli per poi buttarli in mezzo ad una strada o aspettare che lo Stato o la stessa Chiesa li allevi).
La conoscenza è ciò che lega giorno per giorno gli sposi, e prima ancora i fidanzati e, anzi, forse non sarebbe male tornare a conoscersi prima di fidanzarsi, usando maggiormente la ragione e tenendo a freno il sentimento; ma se c'è conoscenza, è ovvio che c'è una crescita sia nell'amore sia nella consapevolezza di questo amore che non si esaurisce né nella luna di miele né con l'arrivo dei fatidici anta da parte dell'una e dell'altra parte: è evidente la falsità, pertanto, della frase «ti amo come il primo giorno»12. Ma l'amore di cui parla sia Cristo che la Chiesa deve essere il più perfetto possibile in quanto l'amore di Dio è tutto fuorché incompleto: si capisce dunque perché San Paolo, con un linguaggio oggettivamente duro13 ma che va contestualizzato ai suoi uditori romani, afferma anche che l'uomo deve morire per sua moglie (come Cristo è morto per la Chiesa) e che la moglie debba accettare suo marito (in quanto la Chiesa ha ricambiato l'amore che ha ricevuto dal suo Mistico Sposo). Ovviamente è implicito che l'una e l'altra parte debbano innanzitutto essere ossequiosi della verità (secondo il motto chiaritas in veritate) cosicché, checché se ne dica nei vari circoli femministi, un uomo non può avere un rapporto con sua moglie senza il suo consenso in virtù della sua sottomissione.
La conoscenza e la donazione reciproca, fine ultimo del matrimonio cristiano, implica anche la ricerca della santità, anch'essa reciproca, principio mirabilmente sintetizzato in una frase del Beato Carlo d'Asburgo e sua moglie Zita di Borbone-Parma: «ed ora dobbiamo aiutarci insieme per raggiungere il Paradiso»14.
Questo è l'amore ed il matrimonio cristiano: morire a se stessi in favore della persona che il Signore ha voluto mettergli accanto, ma anche in favore dell'intera collettività in quanto aperti alla prole ed alla ricezione ed allo scambio (con il tipico scambio dare/avere santificato dall'Incarnazione) di doni tra la sfera privata e quella pubblica.
Capito perché i sistemi autoritari cercano in tutti i modi di picconare la famiglia, in primis il matrimonio cattolico?
Francesco Del Giudice
1 -
Senza voler essere polemici, ci sia permesso ricordare a tutti gli
Amorisletiziani a noi contemporanei che il matrimonio è
sempre stato presente nella discussione teologica come anche nella
prassi pastorale della Chiesa: ritenere, ed affermare (cosa ancora
più grave, secondo il giudizio della Chiesa) che il matrimonio è
stato “riscoperto” solamente con le ultime deu Sinodi e la
successiva Esortazione Apostolica Post-Sinodale significa non essere
ossequiosi e rispettosi della Tradizione ma anche delle Sacre
Scritture, vale a dire di Gesù stesso in quanto «l'ignoranza
delle Scritture è ignoranza di Cristo» (San Girolamo).
2- Fedeli alle parole di Cristo ed all'insegnamento sempre uguale della Chiesa, non possiamo affermare che la vocazione alla vita consacrata sia uguale a quella matrimoniale, e viceversa. Nella prima, infatti, i vocati intendono seguire l'esempio di Nostro Signore che visse sulla terra povero, casto ed umile, proponendo questo modello di vita ai suoi discepoli. Si tratta differenza oggettiva, e non potrebbe essere diversamente, ma che tuttavia, sul piano soggettivo, non si può porre: ogni essere umano infatti ha una sua peculiare vocazione, ed agli occhi di Dio una coppia ha lo stesso valore di un/a religioso/a. Fedele all'insegnamento del suo Sposo (che è Cristo Signore) la stessa Chiesa, da sempre, canonizza e porta come esempio sia laici (a loro volta sposati, come Aquila e Priscilla, o non sposati, come Pier Giorgio Frassati) che consacrati (siano essi sacerdoti secolari, come il Curato d'Ars, che religiosi, come Teresina di Lisieux).
3 - Così per esempio si espresse fray Martín de Cordoba nel suo El jardín de las nobles donzellas, cfr. Il Giardino delle Nobili Donzelle, Gaspari Editore, p. 79.
4 - Anche in questo caso, visto il clima di tempesta imperante oggigiorno in ambito esegetico e morale, è bene ricordare un piccolo concetto, sebbene di capitale importanza. Questo è un passo della Scrittura, vale a dire di una delle fonti della Rivelazione, non un semplice racconto di eventi passati magari riletti alla luce di diversi eventi epocali che hanno riguardato il Popolo Eletto e poi la Chiesa, Nuovo Israele. Poiché lo afferma la Scrittura, inoltre, non possiamo perdere tempo a discettare sul significato di alcuni insegnamenti morali di Cristo che oggigiorno ci appaiono lontani dall'uso comune: se Dio ha fatto bene ogni cosa, ha anche predicato ed insegnato bene sulla castità, la purezza del matrimonio, la negazione del divorzio, etc. Se queste verità non garbano più al cattolico medio, non è un problema della Scrittura, bensì del fedele che non accetta i significati della Scrittura, tra cui, accanto a quello storico – allegorico – anagogico, vi è anche quello letterale.
5 - Innocenzo III ha scritto un interessante trattato intitolato I quattro tipi di matrimonio in cui, come sinteticamente esposto dalla casa editrice EDIVI, «ci guida per mano, con biblica analogia, nell'ascesa dalla realtà del matrimonio umano alle nozze dell'Incarnazione, e poi allo sposalizio di Cristo con la Chiesa, e infine alla unione di Dio con l'anima»: I quattro tipi di matrimonio. Dialogo tra Dio e il peccatore, EDIVI.
6 - La formula dello scambio del consenso tra i coniugi, infatti, ha il suo centro dell'espressione «con la grazia di Cristo» giacché la Chiesa sa benissimo che senza la Sua grazia difficilmente si potrà adempiere al compito cui gli sposi cristiani sono chiamati. Stessa cosa avviene nella liturgia delle consacrazioni dove, generalmente, l'ordinando pronunci i suoi voti «con l'aiuto di Dio».
7 - Oggigiorno – e questa cosa mi dispiace particolarmente – non sento quasi mai parlare di questa verità la quale invece ci insegna che fin dall'inizio della Redenzione è esistita una coppia di santi e che è possibile guardare a Maria e Giuseppe come modelli da seguire in ogni tempo ed in ogni dove: la presenza del Verbo Incarnato nella loro storia familiare e la loro profonda fede e rettitudine, li ha infatti resi superiori, benché sante, a tutte le altre coppie bibliche, comprese quelle a loro contemporanee (Anna e Gioacchino, Elisabetta e Zaccaria, etc).
8 - I casi sono tantissimi e possono anche essere presenti solamente in alcune circostanze della vita coniugale di queste coppie: i Santi genitori di Santa Teresina di Lisieux (Luigi Martin e Maria Zelia Guerin), ad esempio, furono inizialmente orientati ad un matrimonio giuseppino per poi invece sentirsi chiamati alla completa donazione tra di loro ed alla procreazione. Quanto farebbe bene parlare di questi eroici esempi, assenti invece in questi dibattiti orientati sempre più alla sociologia ed alla psicologia, senza alcun riferimento alla grazia, alle persone divorziate civilmente che vivono una nuova unione!
9 - Già Platone aveva parlato dell'uomo e della donna come mancante l'uno dell'altra. Si tratta a ben vedere di un'evidenza di ragione, a prescindere dal dato di fede, sebbene oggi fortemente avversata dalle teorie del gender.
10 - Senza voler entrare troppo nei particolari, è abbastanza evidente che la moderna cultura sessuale, frutto della rivoluzione del '68 e delle teorie di Frued e Marcuse, vede nel rapporto sessuale un semplice appagamento del desiderio se non addirittura un vero e proprio sfogo, quasi al pari con gli animali. Altrettanto evidente, benché profondamente negata, è la superiorità dell'uomo in ambito pornografico, e sessuale in generale, dove la donna vive una vera e propria condizione di oggetto e di semplice trastullo da parte del maschio dominatore: non sarà un caso se la frase che più ricorre in ex attrici porno (ed è altrettanto emblematico che le attrici pentite sono infinitamente maggiori rispetto agli attori) è sempre la stessa, vale a dire l'essersi «sentita trattare come un semplice corpo».
11 - Fatto questo discorso appare evidente perché la Chiesa condanni, e da sempre!, la contraccezione e la fecondazione in vitro, non solo quella eterologa.
12 - Questo concetto non è mio, ma l'ho fatto mio nel corso degli anni. Molto tempo fa sentii per caso in una trasmissione di Radio Maria questa citazione che era di un famoso sacerdote impegnato nell'apostolato familiare di cui non ricordo il nome: se qualcuno lo conosce e me lo facesse sapere, gli sarei infinitamente grato.
13 - D'altro canto anche gli Apostoli avevano rimproverato Cristo dicendo che il rifiuto del divorzio e del concubinato era un linguaggio duro.
14 - Ringrazio i miei amici Emanuele e Marcella che mi hanno fatto conoscere questa frase inserendola nel loro libretto di matrimonio, celebrato nel 2012.
2- Fedeli alle parole di Cristo ed all'insegnamento sempre uguale della Chiesa, non possiamo affermare che la vocazione alla vita consacrata sia uguale a quella matrimoniale, e viceversa. Nella prima, infatti, i vocati intendono seguire l'esempio di Nostro Signore che visse sulla terra povero, casto ed umile, proponendo questo modello di vita ai suoi discepoli. Si tratta differenza oggettiva, e non potrebbe essere diversamente, ma che tuttavia, sul piano soggettivo, non si può porre: ogni essere umano infatti ha una sua peculiare vocazione, ed agli occhi di Dio una coppia ha lo stesso valore di un/a religioso/a. Fedele all'insegnamento del suo Sposo (che è Cristo Signore) la stessa Chiesa, da sempre, canonizza e porta come esempio sia laici (a loro volta sposati, come Aquila e Priscilla, o non sposati, come Pier Giorgio Frassati) che consacrati (siano essi sacerdoti secolari, come il Curato d'Ars, che religiosi, come Teresina di Lisieux).
3 - Così per esempio si espresse fray Martín de Cordoba nel suo El jardín de las nobles donzellas, cfr. Il Giardino delle Nobili Donzelle, Gaspari Editore, p. 79.
4 - Anche in questo caso, visto il clima di tempesta imperante oggigiorno in ambito esegetico e morale, è bene ricordare un piccolo concetto, sebbene di capitale importanza. Questo è un passo della Scrittura, vale a dire di una delle fonti della Rivelazione, non un semplice racconto di eventi passati magari riletti alla luce di diversi eventi epocali che hanno riguardato il Popolo Eletto e poi la Chiesa, Nuovo Israele. Poiché lo afferma la Scrittura, inoltre, non possiamo perdere tempo a discettare sul significato di alcuni insegnamenti morali di Cristo che oggigiorno ci appaiono lontani dall'uso comune: se Dio ha fatto bene ogni cosa, ha anche predicato ed insegnato bene sulla castità, la purezza del matrimonio, la negazione del divorzio, etc. Se queste verità non garbano più al cattolico medio, non è un problema della Scrittura, bensì del fedele che non accetta i significati della Scrittura, tra cui, accanto a quello storico – allegorico – anagogico, vi è anche quello letterale.
5 - Innocenzo III ha scritto un interessante trattato intitolato I quattro tipi di matrimonio in cui, come sinteticamente esposto dalla casa editrice EDIVI, «ci guida per mano, con biblica analogia, nell'ascesa dalla realtà del matrimonio umano alle nozze dell'Incarnazione, e poi allo sposalizio di Cristo con la Chiesa, e infine alla unione di Dio con l'anima»: I quattro tipi di matrimonio. Dialogo tra Dio e il peccatore, EDIVI.
6 - La formula dello scambio del consenso tra i coniugi, infatti, ha il suo centro dell'espressione «con la grazia di Cristo» giacché la Chiesa sa benissimo che senza la Sua grazia difficilmente si potrà adempiere al compito cui gli sposi cristiani sono chiamati. Stessa cosa avviene nella liturgia delle consacrazioni dove, generalmente, l'ordinando pronunci i suoi voti «con l'aiuto di Dio».
7 - Oggigiorno – e questa cosa mi dispiace particolarmente – non sento quasi mai parlare di questa verità la quale invece ci insegna che fin dall'inizio della Redenzione è esistita una coppia di santi e che è possibile guardare a Maria e Giuseppe come modelli da seguire in ogni tempo ed in ogni dove: la presenza del Verbo Incarnato nella loro storia familiare e la loro profonda fede e rettitudine, li ha infatti resi superiori, benché sante, a tutte le altre coppie bibliche, comprese quelle a loro contemporanee (Anna e Gioacchino, Elisabetta e Zaccaria, etc).
8 - I casi sono tantissimi e possono anche essere presenti solamente in alcune circostanze della vita coniugale di queste coppie: i Santi genitori di Santa Teresina di Lisieux (Luigi Martin e Maria Zelia Guerin), ad esempio, furono inizialmente orientati ad un matrimonio giuseppino per poi invece sentirsi chiamati alla completa donazione tra di loro ed alla procreazione. Quanto farebbe bene parlare di questi eroici esempi, assenti invece in questi dibattiti orientati sempre più alla sociologia ed alla psicologia, senza alcun riferimento alla grazia, alle persone divorziate civilmente che vivono una nuova unione!
9 - Già Platone aveva parlato dell'uomo e della donna come mancante l'uno dell'altra. Si tratta a ben vedere di un'evidenza di ragione, a prescindere dal dato di fede, sebbene oggi fortemente avversata dalle teorie del gender.
10 - Senza voler entrare troppo nei particolari, è abbastanza evidente che la moderna cultura sessuale, frutto della rivoluzione del '68 e delle teorie di Frued e Marcuse, vede nel rapporto sessuale un semplice appagamento del desiderio se non addirittura un vero e proprio sfogo, quasi al pari con gli animali. Altrettanto evidente, benché profondamente negata, è la superiorità dell'uomo in ambito pornografico, e sessuale in generale, dove la donna vive una vera e propria condizione di oggetto e di semplice trastullo da parte del maschio dominatore: non sarà un caso se la frase che più ricorre in ex attrici porno (ed è altrettanto emblematico che le attrici pentite sono infinitamente maggiori rispetto agli attori) è sempre la stessa, vale a dire l'essersi «sentita trattare come un semplice corpo».
11 - Fatto questo discorso appare evidente perché la Chiesa condanni, e da sempre!, la contraccezione e la fecondazione in vitro, non solo quella eterologa.
12 - Questo concetto non è mio, ma l'ho fatto mio nel corso degli anni. Molto tempo fa sentii per caso in una trasmissione di Radio Maria questa citazione che era di un famoso sacerdote impegnato nell'apostolato familiare di cui non ricordo il nome: se qualcuno lo conosce e me lo facesse sapere, gli sarei infinitamente grato.
13 - D'altro canto anche gli Apostoli avevano rimproverato Cristo dicendo che il rifiuto del divorzio e del concubinato era un linguaggio duro.
14 - Ringrazio i miei amici Emanuele e Marcella che mi hanno fatto conoscere questa frase inserendola nel loro libretto di matrimonio, celebrato nel 2012.