giovedì 31 marzo 2016

Come eravamo: Che cosa vuole Comunione e Liberazione

Questo movimento giovanile cattolico è oggi uno degli strumenti più efficaci della politica vaticana in Italia: il suo leader, don Luigi Giussani, ce ne spiega le linee





Uno degli strumenti più efficaci per l'intervento dei Vaticano nella vita politica italiana e per un mutamento nella struttura politica cattolica è il movimento dì Comunione e liberazione. Questo movimento sta acquistando una tale importanza che abbiamo ritenuto necessario andare a sentire il suo leader, don Luigi Giussani (intervista a cura di Massimo Fini. L’Europeo, 3 ottobre 1975, 22-23. ndr).

Don Giussani, dopo la mezza catastrofe del 15 giugno si parta insistentemente dì un nuovo partito cattolico che faccia dimenticare alla gente gli orrori di trent'anni di malgoverno dc. E voi di Comunione e Liberazione siete indicati da molti come il nucleo su cui questo nuovo partito si fonderà.


Niente di più falso. Noi siamo decisamente contrari alla creazione di un secondo partito cattolico.

Perché?

Per due buone ragioni. Immediatamente perché un secondo partito infiacchirebbe ancor di più la possibilità di incidenza dei cristiani nella vita politica. Più profondamente perché chi vuole un secondo partito cattolico non tiene conto, non accetta, non riconosce che l'ideale cristiano è l'unità espressa dai credenti, anche in politica. La realtà di popolo che vive nella Chiesa non può che tendere a un'espressione unitaria nella società.

Padre David Turoldo, in un violentissimo articolo comparso sul Corriere della Sera, ha detto di voi, di Comunione e liberazione, che fate dei passi indietro anche rispetto alla linea delle gerarchie ecclesiastiche, che insomma disattendete Concilio, il quale ha ammesso la possibilità, per i cattolici, di impegnarsi in partiti diversi dalla Democrazia cristiana.

Questa è una calunnia. Noi non disattendiamo un bel niente. Noi di Comunione e liberazione non gridiamo all'untore se c'è chi, nel mondo cattolico, pensa di prendere vie diverse dalla Democrazia cristiana, noi abbiamo anzi un rispetto doloroso e dolente per chi tenta altre vie. Però pretendiamo che non si dia dell'untore a noi, se crediamo che la tensione all'unità, anche politica, derivi naturalmente dal fatto cristiano vissuto o, per dirla con le nostre parole, se questa tensione è un «segno» della realtà del popolo cristiano. Questa, io credo, è una possibilità che il Concilio ci lascia. O no?

Di fatto però, per ridiscendere sulla terraferma, voi avallate in questo modo tutte le scelleratezze commesse dalla Democrazia cristiana anche se formalmente la criticate. Lei stesso, don Giussani, in un'intervista di non più di sei mesi fa, dopo aver detto peste e corna della DC, affermò testualmente: «Sia comunque ben chiaro che io voto e voterò ancora DC».

È vero, noi critichiamo la DC e, ci sia dato atto, anche duramente, durissimamente. Però io non vedo in questo, fra, la critica e il voto, proprio nessuna contraddizione. Io credo che il dovere di un cristiano sia innanzitutto quello di collaborare con altri cristiani, prima che con qualsiasi altra forza. Perché con costoro io avrò un punto di vista, antropologico o, se si vuole, storico più vicino, «a priori». Non vedo quindi i motivi dello scandalo. Lo stesso Althusser prima delle ultime elezioni politiche francesi criticava ferocemente il PCF ma poi invitava a votare questo partito. E ai suoi scolari che gli dicevano: «Sei in contraddizione» rispondeva: «Per niente, i comunisti restano comunque quelli a me più vicini nella concezione antropologica della storia». Perché quello che è concesso ad Althusser deve essere negato a noi?

L'INQUISIZIONE

Eppure c'è tutto un gruppo di «cattolici del dissenso» che dice no a questa DC e dice anche no a questo tipo di Chiesa. 

Dice Chesterton, l'umorista inglese, che «l'errore è una verità diventata pazza», una verità cioè fissata su di sé, su un particolare. Così il cosiddetto «dissenso cattolico» è nato da un rilievo giusto, da un grido contro certe forme dispotiche della Chiesa, da un'opposizione, in sostanza, a una vita non ecclesiale della Chiesa. L'errore sta nel fatto che per urlare questo grido il «dissenso» si pone, psicologicamente e metodologicamente, fuori dalla Chiesa. E accusa. E, per quanto riguarda il temporale, mutua la sua saggezza da altre ideologie diverse da quella cristiana. Distingue fra la propria religiosità e il proprio credo politico. Per noi invece ogni dualità è mortale per la fede. Il grande insegnamento di Cristo in croce è che «morendo dentro la Chiesa» si possono cambiare le cose, non al di fuori.

È l'antichissima, cattolicissima, vocazione al martirio 

Macché. È la vocazione alla storia, che è una pazienza, non un'ira. 

Voi di Comunione e liberazione vi sentite interamente dentro la Chiesa, rispettate e venerate le gerarchie, papa, tutto. Sarete allora disposti ad assumervi le responsabilità storiche della Chiesa cattolica, dall'Inquisizione all'Opus Dei.

La Chiesa è stata una forza di promozione umana enorme. Almeno fino a quando non è apparsa una concezione della fede diversa, di una fede separata dall'urgenza della vita. Questo è il portato dell'umanesimo. Il torto della Chiesa è di essersi lasciata investire da questa concezione umanistica, Di essersi lasciata permeare dallo spirito capitalistico, liberistico, materialista-ateo. Il grande errore è questo. Io comunque non voglio per nulla difendere o minimizzare certi atteggiamenti e metodi che sono stati in passato della Chiesa cattolica. Però il retrogrado non è chi faceva certe cose mille anni fa, ma chi le fa adesso. In questo giudizio sulla Chiesa non si tiene conto del «distingue tempora et concordabis jura».

Ci sono dei delitti cattolici recentissimi: per esempio la proibizione della pillola in un mondo che ha quale suo più grande pericolo e nemico quello della sovrappopolazione. Ogni bambino che nasce per ignoranza e che, per ignoranza, vive una vita di stenti e di miseria è un delitto di cui voi cattolici siete i responsabili.


Un momento. La Chiesa dice solo: «Ragazzi, non siate dei bambini, studiate seriamente il problema». La Chiesa dice solo questo. Ci sono dei sociologi di altissimo livello che sono nettamente contrari alla posizione borghese (che è oggi dominante) di un certo tipo di controllo delle nascite. È una soluzione, quella della pillola, troppo automatica, troppo disumana. Se per rimediare al problema della sovrappopolazione si va contro un'altra legge fondamentale, di natura, si crea un'umanità peggiore, si sta più male dopo. Ed è anche l'ora di finirla con questa fola del dispotismo della Chiesa. La Chiesa è stata talmente dispotica che tutto il suo popolo se lo è lasciato diseducare dalla mentalità laicista. Sono secoli che la Chiesa, più o meno lentamente, si lascia scappare tutti. Ma andiamo! Siamo seri! È il potere laico, illuminista che da due secoli domina il mondo, due secoli, sia detto per inciso, dì ignoranza bestiale. Ci rimproverate le scomuniche? Ma non c'è scomunica più totale, più violenta, più razzista nel senso più completo della parola di quella che ci viene, a noi cattolici, dal mondo radical-borghese d'oggi. L'ha detto persino il papa qualche giorno fa: «In Italia domina il terrorismo ideologico». E questo terrorismo non lo facciamo certo noi. Non è che questo ci preoccupi: noi siamo persuasi che niente ferma l'esperienza della fede. Ci possono ammazzare ma non ci possono fermare. Come si è visto in Russia dove, dopo cinquant'anni della più feroce repressione ideale e ideologica che si ricordi, è sorto e vive il più grande movimento spiritualistico e di fede dei nostri tempi: il movimento del Samizdat.

Che cos'è per voi la fede?

È qualcosa di globale, di assoluto. La fede o investe tutta la personalità umana oppure resta una giustapposizione intellettualistica o, al più, un'intrusione sentimentale. Noi non crediamo alla separazione fra fede e politica. A una fede che non abbia alcuna incidenza sulla vita (e quindi su quella fondamentale espressione della vita che è la politica) io non ci crederei. Una fede dì questo genere è un pezzo da museo. Come è un pezzo da museo il culto che viene «permesso» nei paesi socialisti. E se c'è oggi un errore nella Democrazia cristiana è proprio questo: d'esser laica. Di pensare cioè che «Dio, se c'è, non c'entra con la vita», di credere che la vita è un campo dove l'uomo è il fabbricatore, il giudice totale del proprio destino.

È proprio questa concezione di «totalità» della fede che vi ha attirato l'accusa di integralismo, di manicheismo fideistico, di intransigenza.


Dispotico, integrista e manicheo è chi ci rivolge questa accusai È proprio il «segno» di una mancanza di «simpatia» metodologica, una simpatia senza la quale nessuna critica è accettabile e seria. Io non posso capire il marxismo se non mi apro «simpateticamente» a lui. Dico sempre ai ragazzi: «C'è un modo molto semplice per giudicare stupide delle cose intelligenti ed è quello di guardare le cose intelligenti da stupidi». È esattamente l'atteggiamento che si tiene verso di noi. Siamo integralisti perché ci presentiamo con una identità chiara che si innesta organicamente su tutto quel che facciamo? Perché abbiamo un orizzonte globale del nostro agire interiore ed esteriore? Questo, cari miei, non è integralismo, ma unità della personalità. È chiarezza.

Uno dei vostri leader ha detto: «O si è con, noi o si è contro di noi».


Insomma, o io sono marxista o non sono marxista. Chi è con noi vuoi dire che riconosce il mistero del Cristo. Perché o Cristo è Dio o non è Dio. Tertium non datur. E chi vede che Cristo non è Dio è contro di noi. Detto questo noi siamo apertissimi a tutte le esperienze umane, anche diverse dalle nostre. Perché in noi è profonda la persuasione che qualunque incontro è il mezzo con cui Dio ci chiama a una realizzazione di noi stessi. La valorizzazione del tentativo altrui, per noi, è un'adesione al Padre, a colui che fa la storia.

Don Giussani, non si capisce assolutamente che cosa ci sia al fondo della vostra ideologia, che diavolo di modello di sviluppo proponiate.


Noi siamo contro ogni forma di capitalismo, antico e nuovo, neo e non neo.

Vuoi dire con questo che siete marxisti?

No. Il marxismo «tout court» non ci va bene. Soprattutto non ci sta bene come è vissuto e attuato. Però tante diagnosi e tanti suggerimenti del tentativo marxista noi li abbiamo presenti e li utilizziamo. Se il marxismo fosse solo un metodo per impostare la vita sociale, noi non muoveremmo quasi obbiezioni. Noi siamo antimarxisti solo per una cosa: per la visione materialista e atea del marxismo che per sua natura si pone dispoticamente verso la realtà, che elimina chi la pensa in modo diverso. Io chiedo ai comunisti: che spazio avremmo noi per vivere la nostra esperienza cristiana se voi foste al potere? Nessuno. Ridurreste la religione a culto, a museo. La togliereste di peso dalla storia. Ebbene, a me questo tipo di religione non interessa. Se la religione fosse solo culto non andrei neanche in chiesa. Ho altro da fare.

IL DIVORZIO

Non siete marxisti, non siete capitalisti, non siete borghesi. Che cosa volete allora?


L'ideale della Chiesa: la comunione. In termini laici una solidarietà reale che domini anche l'immagine della struttura, Una società in cui tutte le componenti originali, quindi tutte le tradizioni di popolo, trovino attiva partecipazione alla creazione e all'uso della cosa pubblica. Una concezione, in fondo, che non è tanto lontana da quella del laico Pasolini di cui io mi sento di sottoscrivere molte delle affermazioni.

Scendiamo dalle nebulose: voi siete stati contro il divorzio.


Il nostro no al divorzio deriva dalla nostra concezione cristiana del rapporto fra l'uomo e la donna, fra l'uomo e la vita altrui. Politicamente il nostro no al divorzio viene da questo: se io sono persuaso che la «struttura naturale» del rapporto uomo-donna esige l'indissolubilità come ideale, be', porre una legge in cui si dichiara che il matrimonio è dissolubile è affermare l'ideale opposto. E non si pretenda che noi si voti contro il nostro ideale, contro la nostra coscienza.

Lei, don Giussani, confonde volutamente la libertà di divorziare con l'obbligo di divorziare. Là dove noi pretendiamo libertà di scelta voi volete imporre un obbligo unilaterale. E Io stesso vale per l'aborto. Voi confondete la libertà di aborto con l'obbligo di aborto e gridate che non siete liberi solo perché gli altri (o meglio le altre) sono 1ibere di abortire o no. Il vostro amore di libertà, la vostra «apertura», finisce là dove inizia la libertà degli altri. Nel vostro mondo «ciellino» l'unica libertà, che concepite è quella che si voglia quello che imponete voi. Voi non divorziate? Ebbene, nessuno deve divorziare. Voi non abortite? Ebbene, nessuno deve abortire.


Per me chi va contro la struttura della natura, chi fa un'esperienza contro natura è uno che fa male alla società e fa male anche a se stesso. La vita deve passare anche attraverso il sacrificio.

Torniamo sulla vecchia terra. Che ne pensate voi di Comunione e liberazione delle lotte operaie?


Le lotte operaie partono da un principio giustissimo. Ma sono strumentalizzate dagli intellettuali. Gli operai sono vittime dell'intellettualismo di certe pseudo-avanguardie. Gli strumenti che dominano le lotte operaie sono, tante volte, quelli che più tradiscono la classe operaia. Salvo esigue minoranze con le quali noi di CL manteniamo rapporti affascinanti (minoranze dove il sentimento di una natura popolare e di una forza di redenzione sono ancora vivi) devo dire che la stragrande maggioranza della classe operaia, anche nelle sue frange extraparlamentari, è vittima dell'intellettualismo illuministico.

Eppure molti dirigenti delle avanguardie proletarie vengono proprio dall'esperienza di Gioventù studentesca, il nucleo primigenio di Comunione e liberazione. E non vi possono sopportare.


Si tratta solo dell'antico, patologico odio verso il padre. Nulla più.

Che significato ha, don Giussani, il vostro antifascismo?


Per noi è la condanna di un metodo, di tutta una antropologia, di una concezione della convivenza che è antitetica alla nostra. Il fascismo è disumano. Sì, disumano. Per noi il fascismo è uno dei fattori in cui si incarna un metodo disumano di convivenza.

Uno dei fattori? E quali sono gli altri?


Noi di Comunione e liberazione diciamo che c'è un modo di vivere il rosso che, come metodo, non ha nulla da invidiare al nero.

Mi permetta, don Giussani, un'ultimissima domanda, personale, personalissima. Che cosa pensa dei gesuiti?

Io stimo moltissimo i gesuiti per la serietà umana con cui cercano di vivere la fede. I gesuiti hanno sottolineato, in epoche in cui nessuno ci pensava, dei valori che si sono resi urgentissimi nella nostra epoca. Oggi al volontarismo individualista dei gesuiti va forse sostituita una visione comunionale della vita, C'è oggi bisogno, più di allora, di una dimensione comunitaria dell'esistenza. Ma questi, peraltro, sono fattori che in una vita cristiana come quella dei gesuiti, e come spero la mia, non si escludono mai.