martedì 17 gennaio 2017

Lettera dal fronte: Marx, le potature mancate e la neve caduta: riflessioni invernali del Cardinale del Sacco

In questi giorni in cui buona parte del nostro amato quanto martoriato Paese si trova al freddo ed al gelo mi è tornata alla mente una battuta che feci nei primi giorni di Dicembre ad un altro redattore di questo blog: «Vedi carissimo: se il Tanaro è esondato, la colpa è solamente di Marx». Questa penna de La Baionetta, anziché mettersi a ridere, è rimasto a fissarmi ed a riflettere su quello che cercavo di spiegargli: le esondazioni e tutti i problemi susseguenti a buon parte delle cosiddette calamità naturali sono colpa del padre del comunismo scientifico. Ed ora, cari lettori di questo blog, dedicatemi cinque minuti di attenzione e poi, se volete, fatemi sapere se condividete o meno questa mia teoria (che può suonare strana, non lo nego). Ma andiamo con calma, partendo sempre dall'analisi dei fatti che, per loro natura, sono duri a morire.

Dicembre 2016: piove su tutta l’Italia. Gennaio 2017: nevica in buon parte del Bel Paese che, nel frattempo, è sballottato tra ondate di gelo siberiano e maltempo causato da correnti fredde delle Alpi francesi. In tutti i media, dalle radio ai giornali, dai tg a facebook, non si parla d’altro quasi fosse una cosa fuori dal normale quando, invece, è tutto il contrario: il fatto che in Italia a Dicembre piova e a Gennaio nevichi era fino a poco tempo fa la cosa più normale di questo mondo. Ma se, come dice un noto modo di dire, la normalità non fa notizia, perché si parla tanto (ed in maniera sempre più angosciante) di cose tanto banali? Perché ormai l’uomo post-moderno, vale a dire colui che non accetta più né la religione né l’ideologia, colui dunque che cerca di applicare ogni giorno i dettami di Nietzche (accettando la ‘Morte di Dio’, cioè di qualsiasi valore assoluto, e vivendo come un ‘bambino’ il quale, dunque, ‘accetta tutto’) si trova a fare i conti con un qualcosa che è difficile da accettare in quanto sempre uguale a se stesso: il clima ed il tempo.

La post-modernità infatti non accetta nessun vincolo da parte di nessuno in quanto non esiste nessun valore che può legarlo a qualcosa: ecco spiegato il perché si sciolgono come neve al sole i rapporti gerarchici, i vincoli familiari, i sentimenti patriottici, etc. Ma per quanto si potrà negare, una cosa rimarrà sempre: il principio di realtà e la sudditanza ed il rapporto di ciascuno con/dagli altri (e con/dalle cose esterne) che potremmo riassumere in due parole: rimarrà sempre il dato naturale. E non vi è migliore dato naturale che quello del clima in quanto l’uomo, per quanto si sforzi di comprenderlo, per quanto cerchi ossessionatamente di riprodurlo, sfugge alla sua completa comprensione: possiamo infatti solamente prevedere l’ipotetico clima (ma sapremo se la previsione era vera solo dopo che l’evento si sia o meno verificato) e nemmeno dominarlo adeguatamente (in quanto possiamo solamente porre dei ripari per proteggerci e null'altro). Volenti o nolenti, pertanto, siamo alla mercé delle forze della natura che possiamo solamente mitigare negli effetti, non nell'atto.

A questo punto, però, sorge un altro problema, di capitale importanza: come mitigare gli effetti delle forze della natura? Semplice: curando la natura! Dobbiamo anche qui infatti partire da un dato di fatto: la natura, lasciata a se stessa, checché ne dicano i predicatori dell’ideologia verde, produce solamente caos. Provare per credere, lasciando incolto per qualche mese un terreno che diverrà ben presto irriconoscibile: ma se moltiplicassimo l’abbandono e l’incuria per cinque, dieci, venti anni a cosa si va incontro? La risposta non è difficile da dare: nascerà un bosco incontrollato. Si capisce benissimo, ma solamente partendo da questo dato di fatto, perché l’Italia soffra oggi (in un’epoca in cui esistono trattori, dighe, ponti, sistemi di controllo delle acque, etc) del cosiddetto rischio idrogeologico che fino agli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso era pressoché inesistente: le campagne sono state abbandonate, le montagne si sono spopolate, l’agricoltura è stata declassata a scapito prima dell’industria e poi del terziario. Abbiamo applicato, anche qui volenti o nolenti, Marx: si è cioè anteposto il capitale ed i rapporti economici a qualsiasi altro valore, non ultimo il dominio sulla terra ed il controllo della natura che, invece, avevano fatto si che l’uomo fosse se stesso fin dagli albori dell’umanità. Chi controlla più i fossi? Meglio tombarli. Chi pota più gli alberi? Troppe spese, meglio farli crescere. Chi trattiene più le montagne dal franare se non ci sono più terrazzamenti con i loro alberi piantati parallelamente? Meglio provare a far fruttificare i propri risparmi in banca piuttosto che andare a fare il capriolo per raccogliere le olive in una costa di un monte.

La colpa è di Marx ma è anche del pensiero liberale e capitalistico che nel corso degli anni si è sempre più marxistizzato: anteponendo infatti l’individuo alla persona, il capitale al bene comune, il guadagno maggiore continuo (tipico del settore industriale) a quello stagionale (proprio dei lavori agricoli) si è fatto si che l’uomo guardasse con sempre maggiore ribrezzo ai lavori in campagna, in particolare se produttori di poco reddito e di numerosi sacrifici.

Marx, ci piaccia o non ci piaccia, ha vinto nel momento in cui ogni persona ha accettato la sua principale massima: i rapporti economici sono alla base di ogni altra cosa. Ma così facendo si è tolto valore al lavoro fatto con il sudore della propria fronte e che dava (ed in certi casi da ancora) un benessere generalizzato e più ampio in termini di bellezza (paesaggio libero da rovi, alberi ben potati, etc), di redistribuzione della ricchezza (un terreno grande da più frutti di un terreno piccolo, cosa che non avviene automaticamente nell'industria ed ancor più nella finanza) ed anche di rapporti più umani. Pensiamo solo alla grande lezione che offre la natura con l’alternasi delle stagioni: la natura ha i suoi tempi, e l’uomo di prima sapeva – ed il bravo contadino lo sa ancora – di essere subordinato ai ritmi del tempo e della storia cosicché non può potare quando vuole lui, ma quando vuole la natura. L’uomo ha imparato a caro prezzo cosa significasse sottostare alle dure leggi della natura: la pena era infatti quella di morire di fame (provate a potare un fico in agosto e vedrete cosa succede). Non sarà un caso se tutta la prepotenza che oggi pervade le città era pressoché inesistente nella cosiddetta società agricola benché girassero più armi (riportate dal fronte, prese e non riconsegnate durante la leva militare, in possesso per la caccia, per i lavori agricoli, etc) rispetto ad oggi.

L’uomo di oggi, per essere veramente umano, deve tornare a sporcarsi le mani. Deve applicare il libro della Genesi dominando la natura. Deve imparare a potare, zappare, vangare, raccogliere, concimare. Ma non deve farlo sui libri o alle conferenze del mondo ecologista: lo deve fare su di un terreno, sotto il sole bollente di agosto o al freddo pungente di gennaio: deve ripartire, cioè, dal dato di reale abbandonando ogni ideologia di tipo economicistico. Tornando a Marx, è emblematica anche il comportamento della storia d’Italia del dopoguerra: si è spinto il Paese ad uscire da un’economia prettamente agricola in favore di una politica industriale (ricordatevi le fasi della dialettica marxista) senza pensare minimamente né a cosa fare di tutti i terreni che si andavano progressivamente abbandonando né a cosa fare di tutte le scorie e gli scarti industriali derivanti dal boom economico. Marx ha vinto anche in quel caso perché si è costituito agli occhi dell’italiano medio il mito del progresso, un progresso ineluttabile, perfetto, proiettato verso un mondo in cui la ricchezza avrebbe portato il benessere a tutti: il dato di fatto, invece, è la comparsa e l’aumento di malattie, pressoché assenti negli anni precedenti, quali (solo per citarne due) la depressione e l’obesità. Marx ha vinto nel momento in cui tutta la classe dirigente, e parlo sia di quella civile che di quella ecclesiastica, ha accettato che il metro di paragone per valutare la propria vita fosse la busta paga dell’operaio. Non ho nulla contro gli impiegati del II Settore – beninteso! – ma è altrettanto ovvio che sia il II che il III Settore non possono vivere senza il I: sembra un discorso dei fisiocratici del XVIII secolo, lo riconosco da me stesso, ma è un dato di fatto da cui non si può sfuggire.

In cosa, inoltre, ha anche influito la dialettica marxista (e gramsciana, aggiungo)? Nell’educazione e nella formazione: quella contadina si basava su anni di esperimenti, tramandati di generazione in generazione (potare con un tipo di luna a seconda degli alberi da trattare, raccogliere prima o dopo un certo giorno un determinato prodotto, etc) mentre invece la nuova formazione – mi si smentisca con i fatti se non è vero – punta solamente alla conoscenza teorica delle cose tralasciando l’aspetto pratico. Perché anche in questo c’entra Marx? Perché stiamo facendo riferimento alle elites culturali di cui parlava in parte il filosofo tedesco ma su cui si basa il comunismo culturale di Gramsci: conviene che il popolo non sappia determinate cose (o meglio: che le sappia ma che non sappia a cosa servano) perché ci sarà il Partito che giudicherà ogni cosa dando ad ogni evento un significato preciso in base, ovviamente, alle categorie della dialettica e del materialismo storico.

La natura, tuttavia, non funziona così e lo capiamo da due piccoli esempi che, oggi come oggi, ci sembrano rivoluzionari: 1) per evitare allagamenti invernali, quando si devono pulire le fognature? In estate, ovviamente, ma nessun Ente lo fa. Ma per essere ancora più precisi, l’intervento dovrebbe essere ogni qualvolta ci sono cadute abbondanti di fogliame ma anche di pioggia inaspettata: la manutenzione, in pratica, deve avvenire tutti i giorni; 2) quando si devono potare le piante? Se da frutto ogni anno, ovviamente. Ma ci sono anche tante piante da frutto che possono avere bisogno di una potatura annuale per avere una chioma uniforme e bella da vedere. Ma fare una potatura di questo genere è una cosa lenta: servono scale, forbici, seghetti, etc cosicché si preferisce – ditemi se non è vero – ad affidare una motosega a qualsiasi persona con il compito di capitozzare le piante. La capitozza tura è un sistema che toglie qualsiasi ramo alla pianta, lasciandola ringiovanire, ed è pertanto benefica. Presenta tuttavia un grande problema negli anni seguenti in quanto la produzione di nuovi rami è sempre direttamente proporzionale a quelli tagliati. Per capirci: se nel 2016 il vostro Comune ha capitozzato tutti i tigli di un’alberata, in questo 2017 quegli stessi alberi saranno più ricchi di foglie e rami (in maniera incontrollata, ovviamente) del momento del taglio e nel 2018 si dovrà provvedere a fare un nuovo taglio.

Perché ho fatto questi due esempi? Non voglio scrivere un trattato di potatura (benché la cosa mi affascini molto) ma per far capire come ormai abbiamo abdicato ad una conoscenza tecnica (il sapere usare una motosega oppure avere gli strumenti per ostruire una fognatura) ad una formazione tradizionale che prevedeva invece duro lavoro (si può potare anche con i seghetti e si può ripulire una fognatura anche con una semplice pala) e tanta esperienza sul campo: anche questo, a ben pensarci, è frutto della dialettica marxista.

Anche la Chiesa ha le sue colpe in questa rivoluzione di ideali e di visione del mondo: quante parrocchie, pur avendoli, curano i terreni che nei secoli passati sono stati loro donati? Non si preferisce puntare su nuove costruzioni, affitti, mezzi finanziari (come può essere lo stesso 8xmille) piuttosto che far fruttificare un patrimonio agricolo pressoché sterminato dando sia il buon esempio, sia applicando i dettami del Creatore ad Adamo (che domini sui pesci del mare… soggiogate la terra…) sia offrendo moltissimi posti di lavoro in un’epoca in cui scarseggia?

Ambrogio Sparagna canta una canzone struggente sull'uomo di oggi che cerca ancora la civiltà contadina. Uno dei passaggi più appassionati, cantato quasi fosse una meditazione, dice così: «Sogno una vita che non ha più età / è già finita ormai / non tornerà! Volti scavati da grandi fatiche / cuori donati senza farsi vedere». Questa a mio parere è la più bella descrizione che si possa fare della società contadina e che sarebbe bene riprendere al più presto per evitare non solo la deriva (che già imperversa quotidianamente) dell’economia e della finanza ma anche per riprendere un rapporto più umano tra persone e con la natura. Altrimenti ci troveremo anche noi a sentire il rimprovero severo che Cristo fece a Don Camillo: «La terra non tradisce Don Camillo: sono gli uomini che hanno tradito la terra».


Il Cardinale del Sacco






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